Dal fotografo brasiliano che ha fatto rinascere la foresta nella tenuta del padre alle signore del Kenya (e degli elefanti), dal biologo che ha salvato più animali in estinzione di chiunque altro, alle storie di conservazione che vedono protagonisti i popoli indigeni. La crisi climatica, come ribadito al G20 di Napoli, va affrontata di pari passo con la tutela della biodiversità e oggi sono diversi i programmi di Stati o grandi organizzazioni per salvare gli animali a rischio estinzione, per cause spesso collegate alle attività umane o al riscaldamento globale. Che sta riducendo, per esempio, l’habitat degli orsi polari, costretti a vivere in superfici sempre più ridotte. È il caso del programma internazionale ‘Last Ice Area’, la più vasta area della calotta polare artica, tutelata anche dal Wwf, in grado di resistere alla fusione estiva e supportare la vita della fauna selvatica. L’ultima spiaggia per gli orsi. Almeno così si credeva, fino all’estate 2020, quando il mare di Wandel ha perso il 50% del ghiaccio sovrastante. Ma se alla politica corrispondono tempi più lenti, c’è chi si è rimboccato le maniche, creando una sua ‘Arca di Noè’. Associazioni, comunità e piccoli gruppi conservazionisti si danno da fare in tutto il mondo contenendo specie invasive, creando aree protette, reintroducendo alcune specie o portando gli animali dal loro habitat minacciato in ambienti più sicuri dove riprodursi. Lungi dall’essere un elenco esaustivo, ilfattoquotidiano.it racconta alcune storie di conservazione, con un comune denominatore. La volontà di agire subito. Per evitare, come scrive Jonathan Franzen nel saggio ‘La fine della fine della Terra’, che “la nostra ansia per le catastrofi future distolga l’attenzione dall’affrontare problemi ambientali risolvibili qui e ora”.

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