La chiusura della scuola ha avuto un impatto negativo e significativo sulle competenze matematiche di tutti i bambini della scuola primaria. A dirlo è il è il primo studio, in Italia, a stimare empiricamente la perdita di preparazione nella disciplina dei numeri. La ricerca, dal titolo dal titolo “L’impatto del primo lock-down per il Covid-19 sugli apprendimenti in matematica nella scuola primaria”, è stata elaborata dal dipartimento di economia e statistica dell’Università di Torino. Si tratta di un report che arriva ancor prima di quello dell’Invalsi che presenterà il suo monitoraggio a metà luglio.

I risultati emersi dal lavoro delle scienziate piemontesi confermano le intuizioni avute nei mesi scorsi da parte di più addetti ai lavori, in primis il direttore della fondazione “Giovanni Agnelli”, Andrea Gavosto: siamo di fronte a una perdita equivalente a circa quattro mesi di scuola. Non solo: le disuguaglianze nell’apprendimento hanno interessato i bambini e le bambine (in maggioranza quest’ultime rispetto ai maschi) con genitori poco istruiti. “I nostri risultati – spiegano le ricercatrici – mostrano chiaramente come la scuola in presenza svolga un ruolo centrale sia nel processo di apprendimento sia nella riduzione delle disuguaglianze educative. Una perdita di apprendimento si traduce in minor capitale umano e sociale a livello individuale nel medio-lungo termine, con effetti nel mercato del lavoro, in termini di occupazione, salario, e produttività, e possibili effetti negativi intergenerazionali”.

Alla fine di giugno 2020, le settimane di chiusura delle scuole sono state tra le sette e le diciannove e ad oggi, si raggiunge la quota di sessanta settimane nel mondo. Alcuni Paesi hanno riorganizzato l’anno scolastico per minimizzare le perdita nel periodo di insegnamento. Le scuole italiane sono state chiuse dal 24 Febbraio 2020 fino alla fine dell’anno scolastico: quasi quindici settimane, l’intero secondo semestre, uno dei periodi più lunghi fra i paesi europei. “Di fronte a questo scenario – spiega la ricercatrice Maria Laura Di Tommaso – c’era l’urgente bisogno di valutare la perdita di apprendimento dei bambini nelle scuole primarie, per definire politiche di azione atte a mitigare l’impatto della pandemia che è anche economico di lungo periodo sul Pil”.

In Belgio, Olanda, Germania e Svizzera, dove sono stati fatti dei monitoraggi già nel 2020, era emerso in maniera evidente che c’erano state delle lacune a causa della sospensione delle lezioni in presenza, proprio in matematica. A salvarsi è stata l’Australia dove nonostante i bambini siano rimasti a casa tra le otto e le dieci settimane, non si sono evidenziate perdite in italiano e nell’apprendimento di frazioni ed espressioni. La ricerca effettuata dal dipartimento piemontese ha coinvolto venticinque scuole della provincia di Torino testando 1.539 alunni di terza. Il report è il frutto del confronto tra i numeri emersi dalle interviste fatte nei 12 mesi prima del Covid e durante la pandemia (con di mezzo l’estate che può avere conseguenze diverse: ulteriore perdita di competenze o miglioramento grazie alla maturità).

Il punto di partenza è stato la risposta a queste domande: qual è l’effetto della chiusura delle scuole a causa del Covid-19 sulle competenze matematiche dei bambini della scuola primaria? Questi effetti differiscono a seconda del background socio-economico, contribuendo ad un aumento delle disuguaglianze educative? Il risultato è quello che ci si aspettava: il danno maggiore in termini di apprendimento è stato sperimentato da bambini e bambine con genitori non laureati e rendimenti scolastici superiori alla media. Un’ipotesi è che questi alunni siano quelli che traggono maggior beneficio dagli stimoli offerti dalla scuola in situazioni normali.

“La perdita dell’Italia rispetto ad altri Paesi europei è stata maggiore perché le scuole da noi sono state chiuse per più tempo. Va fatta – dice Maria Laura Di Tommaso – una riflessione su un dato: chi ha avuto danni maggiori sono stati i ragazzi più bravi ma con genitori poco istruiti ovvero famiglie più fragili. Forse non ci si aspettava il risultato che tra i bambini di genitori non laureati fossero i bambini nella media o più bravi a perdere di più.

Questo è accaduto – secondo una nostra lettura – perché per i più impegnati, la scuola è un modo per uscire dalle situazioni critiche famigliari e funge da ascensore sociale mentre chi va male è rimasto nella stessa condizione di prima”. Secondo la ricercatrice torinese “andava data priorità alle scuole e non alle discoteche” e “servivano più risorse di ogni tipo: umane, economiche, strutturali”. Di Tommaso e la sua squadra, andando istituto per istituto, si sono rese conte che non è bastato dare tablet e pc ai ragazzi ma serviva raggiungere questi alunni.

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