Il tempo è scaduto: o si cambia registro o si va al testa a testa. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, torna a trattare il tema dei diritti nell’Unione europea, dopo il caos esploso sulla legge anti-Lgbt firmata dal governo ungherese di Viktor Orban, e minaccia ripercussioni serie nei confronti di quei Paesi membri che non rispettano i principi fondanti dell’Ue. Nel mirino, come già successo nei mesi scorsi su questioni legate allo stato di diritto, finiscono proprio l’Ungheria e la Polonia.
“I capi di Stato e di governo hanno condotto una discussione molto personale ed emotiva sulla legge ungherese – ha dichiarato la capa di Palazzo Berlaymont intervenendo in plenaria al Parlamento europeo sulle conclusioni dell’ultimo Consiglio Ue – Praticamente l’omosessualità viene posta a livello della pornografia e questa legge non serve alla protezione dei bambini, è un pretesto per discriminare. Questa legge è vergognosa“. Von der Leyen su questo non intende fare un passo indietro e lancia così un ultimatum a Budapest: “Se l’Ungheria non aggiusterà il tiro, la Commissione userà i poteri ad essa conferiti in qualità di garante dei trattati. Dobbiamo dirlo chiaramente, noi ricorriamo a questi poteri a prescindere dallo Stato membro. Dall’inizio del mio mandato abbiamo aperto circa 40 procedure di infrazione legate al rispetto dello stato di diritto e se necessario ne apriremo altre”.
Uno scontro, quello tra Budapest e Bruxelles, che segue la decisione annunciata proprio ieri dalla Commissione Ue di congelare lo stanziamento di 7 miliardi di euro del Recovery all’Ungheria perché il Paese non ha fornito sufficienti indicazioni sul loro utilizzo finale, come richiesto invece dagli accordi Ue.
Ma non è solo il governo di Viktor Orban ad essere finito nella lista degli osservati speciali della Commissione von der Leyen. Anche la Polonia, che nei mesi scorsi si è contraddistinta per la repressione del dissenso manifestato dalla comunità Lgbtqi che chiede maggiori diritti, è finita sotto accusa per le sue Lgbt free zone, zone delle città nelle quali è stato eliminato qualsiasi riferimento ai diritti Lgbt e all’interno delle quali per una persona omosessuale, transessuale o bisessuale è praticamente impossibile passare, come raccontato anche da un reportage de Ilfattoquotidiano.it. “Non possiamo restare a guardare quando ci sono regioni che si dichiarano libere dagli Lgbt. Non lasceremo mai che parte della nostra società sia stigmatizzata a causa di quello che si pensa, dell’etnia, delle opinioni politiche o credi religiosi – ha dichiarato la presidente della Commissione – Non dimentichiamo che quando difendiamo parti della nostra società noi difendiamo la libertà di tutta la nostra società”.