Immobilizzato, bloccato a terra e crudelmente strangolato fino alla morte.

Quattordici drammatici minuti di una violenta agonia che portano alla morte di Luca Ventre, cittadino italiano che cercava protezione all’interno della nostra Ambasciata a Montevideo e che da quel luogo che considerava sicuro n’è uscito esanime. Con tutta probabilità già privo di vita.

L’aggressione e la morte crudele di Ventre è una vicenda quasi dimenticata che sembra non riguardare nessuno. E che invece ci riguarda tutti.

35 anni, lucano, con una bimba di 8 mesi, Luca Ventre dal 2012 viveva in Uruguay dove con il padre gestiva attività di ristorazione e import di prodotti alimentari italiani.

La mattina dello scorso primo gennaio, poco dopo le 7, Ventre entrava nel cortile dell’Ambasciata italiana della capitale uruguaiana scavalcando la cancellata. Era in cerca di aiuto, nei giorni precedenti aveva confessato ai genitori di sentirsi in pericolo.

Le immagini registrate dalle telecamere di sorveglianza sono dolorose e sconvolgenti. Riprendono Luca che cerca di lasciare il cortile della sede diplomatica arrampicandosi sul cancello ma nel mentre viene afferrato da un poliziotto uruguaiano che lo fa inginocchiare con la mani dietro la schiena, lo scaraventa a terra e, aiutato da una guardia, lo immobilizza con un braccio stretto intorno al collo. Luca non oppone alcuna resistenza, e non la opporrà lungo tutta la durata di questa aggressione dicendo ripetutamente ‘Non me muevo. Non me muevo’.

Il poliziotto uruguaiano continua a stringere il braccio intorno al suo collo per 14 minuti. Non molla nemmeno quando il corpo è visibilmente immobile. Non molla fino a soffocarlo e fino a quando il corpo di Luca resta a terra privo di sensi. Esanime, Luca Ventre viene portato a peso fuori dal cortile dell’Ambasciata. Caricato su un’auto e trasportato all’ospedale dove ne constateranno il decesso. Dopo circa otto ore dalla morte, il padre riceve una telefonata anonima “Luca è ferito in ospedale”. La prima di tante bugie perché il figlio è già morto.

La tecnica di immobilizzazione e soffocamento che ha portato alla morte di Luca Ventre per asfissia è la stessa che ha ucciso George Floyd. Una tecnica di brutale sopraffazione a cui sono addestrate anche le forze dell’ordine italiane e fino ad oggi sostanzialmente consentita nonostante se ne conosca l’insidiosa pericolosità.

E’ di venerdì la notizia della condanna a 22 anni e mezzo di carcere dell’ex agente Derek Chauvin che causò la morte di George Floyd, costretto sull’asfalto e soffocato dal ginocchio del poliziotto premuto sul suo collo per 8 minuti. Sulla violenza utilizzata dalle forze dell’ordine, dobbiamo ripartire da qui: impedendo l’utilizzo di questa tecnica. Va condannata, messa al bando in Italia e ovunque nel mondo.

La drammatica aggressione che ha portato alla morte di Luca Ventre merita verità e giustizia. Lo dobbiamo alla sua famiglia. Il Governo italiano deve sostenere il lavoro importante svolto dalla Procura di Roma e dal sostituto procuratore Sergio Colaiocco, le cui indagini hanno smentito quello che sembra un vero e proprio tentativo di depistaggio uruguaiano.

L’autopsia svolta in Uruguay, che mirava ad assolvere il poliziotto da ogni responsabilità, attribuiva il decesso di Luca Ventre a una “sindrome da delirio eccitato, avvenuta per un’aritmia prodotta da uno stato adrenergico scatenato dall’eccitazione e per alterazione dei livelli di potassio”, situazione che sarebbe stata aggravata “dall’assunzione di droghe stimolanti come la cocaina”.

Ebbene, la Procura di Roma ha incaricato il Prof. Giulio Sacchetti dalla cui autopsia sono invece emersi elementi “compatibili con un’azione costrittiva del collo esercitata con notevole forza che deve aver impedito per un certo tempo la normale penetrazione dell’aria”. Un’asfissia “riconducibile – afferma ancora la perizia – alle prolungate manovre costrittive esercitate con notevole forza sul collo del soggetto”. E’ proprio sulla base di questa perizia che il sostituto procuratore Colaiocco ha iscritto il poliziotto uruguaiano nel registro degli indagati per il reato di omicidio preterintenzionale, mentre la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha chiesto alla procura di perseguire penalmente il poliziotto.

Non possiamo lasciare sola la famiglia Ventre.

Il compito di ottenere giustizia per la morte di Luca, come di qualsiasi altro cittadino italiano che avvenga all’estero, spetta allo Stato e non può essere caricato, come accaduto troppe volte, sulla sola forza e determinazione dei familiari. Sono troppi e troppo dolorosi i casi di cittadini italiani che perdono la vita in contesti esteri. Storie drammatiche che sono per noi ferite ancora aperte. Come la morte di Giulio Regeni e la morte di Mario Paciolla.

La vicenda di Luca Ventre richiama una responsabilità grande della funzione del Governo italiano. La magistratura ha bisogno di tutto il supporto necessario per fare luce su quanto successo, con l’aiuto di una robusta iniziativa diplomatica che convinca i Paesi in cui accadono questi crimini – come l’Egitto, la Colombia e l’Uruguay – che quando si tratta di cittadini italiani noi applichiamo le stesse regole del diritto e della giustizia che valgono nel nostro Paese.

Dobbiamo pretendere che quelle regole valgano ovunque e per chiunque. Sempre.

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