Tante le città italiane tra le più inquinate d’Europa. Ma nel Pnrr del governo Draghi manca la necessaria svolta verde per risanare l’aria

Conosciamo bene, purtroppo, i dati dell’inquinamento dell’aria. Leggerli però nero su bianco fa sempre un pessimo effetto. Ci sono interi territori che respirano sotto una fitta cappa di smog; le morti premature da inquinamento atmosferico si contano a decine di migliaia nel nostro paese, con una accentuata concentrazione nel Bacino Padano.

Qualche passo avanti negli anni è stato fatto, ma la transizione ecologica è di una lentezza estenuante, come se la salute dei cittadini non fosse il primo interesse da tutelare. Manca ancora un approccio strategico ad un problema sicuramente complesso che non può essere risolto con provvedimenti spot privi della carica di radicalità necessaria a pulire l’aria che respiriamo, abbassando al contempo la febbre del pianeta.

A conferma della pessima aria che tira nel nostro paese è arrivata la mappa della qualità dell’aria urbana dell’Agenzia europea dell’ambiente (AEA) basata sulla misurazione della concentrazione media di particolato fine (PM 2,5). Una classifica in cui le città italiane si piazzano male: nella ‘zona rossa’ della classifica, quella delle città con l’aria peggiore, ce ne sono ben 22, nella ‘zona verde’, che raggruppa quelle con l’aria più pulita, appena 6.

Nella ‘zona rossa’, ai primi 323 posti, oltre alla “pessima” Cremona in 322ma posizione, troviamo, dal basso verso l’alto, anche Brescia (315ma posizione), Pavia (314), Venezia (311), Piacenza (307), Bergamo (306), Treviso (304), Milano (303), Torino (298), Verona (294), Ravenna (291), Terni (289), Modena (283), Benevento (282), Reggio Emilia (281), Pesaro (278), Parma (276), Ferrara (272), Novara (271), Rimini (258) e Prato (251). Non a caso il novembre scorso la Corte di Giustizia Europea ha condannato l’Italia per lo sforamento ripetuto negli anni della soglia massima di concentrazione di polveri sottili. Una condanna che, se non migliorerà la situazione con l’attivazione di misure efficaci, potrebbe costarci cara anche in termini di sanzione da pagare.

L’inquinamento atmosferico incide pesantemente sulla salute: lo conferma il report dell’AEA, dal quale si evince che nel 2018 l’esposizione al particolato fine ha causato circa 417mila morti premature complessive in 41 paesi europei. Per questo servono politiche di sistema a 360 gradi. Legambiente, ad esempio, fa notare che l’inquinamento di Cremona e Vicenza dipende da fattori non riconducibili esclusivamente a traffico e riscaldamento, poiché sempre di più pesa il contributo emissivo degli allevamenti intensivi. Secondo l’associazione, dagli inventari delle emissioni per la provincia di Cremona, ad esempio, si ricava che nel territorio vengono emesse polveri ultrafini pari a 781 tonnellate annue (il 51% derivante dalla combustione di biomasse per riscaldamento), ma che sono molto maggiori le emissioni che funzionano da precursori delle stesse polveri: ammoniaca (18.241 tonnellate annue, il 99% da fonti agro-zootecniche) e ossidi d’azoto (6.503 tonnellate annue, il 41% da trasporto su gomma).

L’allevamento intensivo è un modello che va superato. In questa direzione si muove la mia risoluzione sullo stop all’uso delle gabbie negli allevamenti approvata lo scorso 4 maggio dall’Assemblea Legislativa dell’Emilia-Romagna, con lo scopo di avviare una transizione verso modelli di allevamento sostenibili e rispettosi del benessere animale, per tutelare anche la salute dei consumatori, l’ambiente e il clima.

Allevamenti sostenibili, sviluppo delle fonti di energia rinnovabili, trasporti elettrici e su ferro, edifici energeticamente efficienti: su queste “medicine” deve basarsi la lotta all’inquinamento e all’emergenza climatica. La grande opportunità che abbiamo davanti in Italia è il Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, finanziato dai fondi europei del NextGenerationEU. Serve uno stanziamento straordinario di risorse per il risanamento ambientale del bacino padano: pulire l’aria in questo territorio che coinvolge quattro regioni deve diventare una priorità nazionale e europea.

Purtroppo, però, dal governo non arrivano segnali incoraggianti: la svolta verde non c’è, al punto che tutte le associazioni ambientaliste hanno criticato pesantemente il Pnrr. Nel settore cruciale del trasporto pubblico il piano prevede un investimento in grado di sostituire solo l’11% della flotta circolante di treni regionali e bus, in buona parte ancora alimentati a diesel. Sulla mobilità elettrica sono previsti appena 750 milioni di euro contro i 5 miliardi della Germania, mentre gli investimenti sulle energie rinnovabili sono insufficienti per raggiungere i target previsti al 2030 dalla Legge sul clima europea.

Si rinuncia ad affrontare anche le grandi questioni della perdita dell’acqua nelle condutture e della depurazione, che è costata all’Italia un’altra condanna da parte della Corte di Giustizia. Sulla difesa della biodiversità – strategica ai fini della tutela della produzione alimentare, del clima e dell’ambiente – lo stanziamento è pari allo 0,8% dei fondi totali, con le ciclabili ridotte del 50% rispetto al piano del governo Conte. E mentre mancano parole chiare su trivellazioni e deposito della CO2 che Eni vuole realizzare a Ravenna, il “ministro alla finzione ecologica” Roberto Cingolani agita lo spettro nucleare sono forma di mini centrali (da giardino?).

Il premier Mario Draghi è consapevole che è in gioco la salute di migliaia di cittadine e cittadini e la possibilità di reggere il confronto con l’Europa più avanzata?

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