Da Roma giunge una notizia importante. Da tempo si parla dello sgombero di un palazzo in via del Caravaggio, ex sede della Regione Lazio, occupato nel 2013, dove alloggiano oltre 100 famiglie. La soluzione individuata è quella del passaggio da casa a casa con 77 alloggi messi a disposizione da Ater e Regione e 13 dal Comune di Roma. I nuclei famigliari composti da singoli andrebbero in un cohousing. Quindi non si dovrebbe arrivare allo sgombero forzoso con la forza pubblica, ma la strada individuata è quella giusta del passaggio da casa a casa e ovviamente in case popolari, tenuto conto delle condizioni economiche dei nuclei famigliari interessati.

È del tutto evidente che la strada intrapresa del dialogo e della ricerca di soluzioni senza far diventare la questione abitativa un fatto di ordine pubblico non può che essere sottolineata come positiva. È allora importante che il percorso intrapreso di gestione “politica e sociale” degli sgomberi non rappresenti solo una rondine che non fa primavera e che si affronti la questione abitativa, non solo di sgomberi ma anche sfratti e espropri in maniera strutturale.

Ora il passaggio da casa a casa deve diventare la modalità di approccio alla questione sgomberi, sfratti ed espropri, abbandonando le improponibili e insostenibili modalità di approccio “salviniano” alla questione. Segnalo, in tale contesto, che a Roma per esempio dal 1° luglio si effettueranno 10 sfratti al giorno con la forza pubblica. Questo significa che solo a Roma ogni due settimane la forza pubblica sfratterà 100 famiglie romane, senza che a queste sia, ad oggi, garantito un passaggio da casa a casa, qualora abbiano condizioni economiche e sociali che non gli consentono di trovare soluzioni abitative sostenibili sul mercato.

Quindi, almeno a Roma, servirebbero o serviranno altre 100 case popolari ogni due settimane e questo solo per affrontare gli sfratti, e senza parlare delle famiglie in graduatoria o quelle con espropri. Vale per Roma. Vale per tutta Italia. Ma per i candidati alle primarie per esempio di Roma, ad eccezione di Stefano Fassina e Paolo Ciani, questo argomento del bisogno di più case popolari è un tabù. Lo stesso dicasi per il governo, Anci e regioni che pensano ancora che con due spicci di contributi si risolva la questione.

Quanto tempo ci vorrà ancora perché governo ed enti locali capiscano che le case popolari sono una infrastruttura sociale strategica? E che l’obiettivo di avere più case popolari si può ottenere, senza consumo di suolo, riutilizzando l’immenso patrimonio immobiliare pubblico e privato oggi inutilizzato? È necessario, quindi, che la soluzione di via del Caravaggio indichi una possibilità da percorrere per far tornare una volta per tutte la questione abitativa nell’alveo dei diritti sociali, non dei fatti illegali da affrontare con ondate repressive che non risolvono nulla.

Oggi è il momento di una riflessione profonda sull’agire, anche generoso, di tanti sindacati, movimenti e associazioni che però non riescono ad avere peso politico e ad affermare che la questione abitativa è una questione. A mio parere è necessario oggi che i movimenti per l’abitare, i sindacati inquilini, le associazioni di terzo settore, i forum, gli urbanisti eccetera si ritrovino e trovino un luogo di confronto aperto, in una “Coalizione per il diritto alla casa”. Non una nuova organizzazione, non una nuova struttura ma un luogo dove ognuno, nella sua autonomia, si coaguli su pochi punti qualificanti.

È necessario a mio parere dare vita e sostanza ad una massa critica che possa incidere sul governo e sul Parlamento, sulle regioni e sui comuni. Per chiedere cosa? Due richieste che secondo me potrebbero unificare la Coalizione:

1) un grande piano pluriennale di edilizia residenziale pubblica a canone sociale senza consumo di suolo;

2) garantire il passaggio da casa a casa per sfrattati e alle famiglie in graduatoria o oppresse da espropri.

Senza una reale e forte massa critica che si unifica non otterremo nulla. Questa è una grande sfida da lanciare per una opera pubblica, strategica, sociale quali sono le case popolari, senza cui non si possono affrontare i nodi del disagio abitativo.

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