Il caso Moro torna al centro di un’altra inchiesta della procura di Roma. Le ipotesi di reato sono l’associazione sovversiva finalizzata al terrorismo e il favoreggiamento. Indagato nel procedimento è l’ex brigatista Paolo Persichetti che l’8 giugno ha subito una perquisizione. La nuova inchiesta si fonda su un’informativa della Digos del 9 febbraio scorso e riguarda la divulgazione di materiale riservato “acquisito e/o elaborato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul sequestro e l’omicidio di Aldo Moro”, si legge nel decreto firmato dal sostituto procuratore Eugenio Albamonte insieme al procuratore Michele Prestipino. Da qui la perquisizione all’ex terrorista, che oggi è un ricercatore storico, autore tra l’altro di diversi libri proprio sul caso Moro, per individuare i canali attraverso i quali sarebbe entrato in possesso del materiale riservato e “i circuiti attraverso i quali detto materiale è venuto nella disponibilità di terze persone presso le quali la polizia giudiziaria ne ha accertato la disponibilità”.

Negli anni ’80 nelle Brigate Rosse-Unione dei Comunisti, compagno di esilio a Parigi con Cesare Battisti, Oreste Scalzone e tanti altri fuoriusciti italiani, Persichetti è stato il primo ex terrorista estradato in Italia dalla Francia. Il suo fu un caso giudiziario e politico. Nel 1993 Persichetti venne arrestato a Parigi, dove era arrivato legalmente prima della condanna in contumacia a 22 anni per banda armata e concorso morale nell’omicidio del generale Licio Giorgieri. Venne arrestato e liberato dopo 14 mesi, grazie all’intervento del presidente francese François Mitterand, e, nonostante alla fine il governo Balladur avesse deciso a favore della sua estradizione in Italia, l’esecuzione del provvedimento venne fermata con l’arrivo all’Eliseo di Jacques Chirac, contrario a rimettere in discussione la dottrina Mitterrand. La vicenda si chiuse quasi dieci anni dopo: il 24 agosto del 2002, dopo essere stato fermato dalla polizia francese, Persichetti venne consegnato nel corso della notte alle autorità italiane sotto il tunnel del Monte Bianco in virtù di quell’estradizione concessa ma mai eseguita.

“La libera ricerca storica è ormai divenuta un reato”, ha commentato l’ex brigatista che oggi fa il ricercatore storico e ha scritto diversi libri proprio sul caso Moro, raccontando che “per questa ragione martedì 8 maggio dopo aver lasciato i miei figli a scuola, da poco passate le nove del mattino, sono stato fermato da una pattuglia della Digos e scortato nella mia abitazione dove ad attendermi c’erano altri agenti appartenenti a tre diversi servizi della polizia di Stato: Direzione centrale della Polizia di Prevenzione, Digos e Polizia postale“. E ancora: “Ho contato in totale 8 uomini e due donne, ma credo ce ne fossero altri rimasti in strada – sottolinea Persichetti, – Un tale dispiegamento di forze era dovuto alla esecuzione di un mandato di perquisizione e contestuale sequestro di telefoni cellulari e ogni altro tipo di materiale informatico (computers, tablet, notebook, smartphone, hard-disk, pendrive, supporti magnetici, ottici e video, fotocamere e videocamere e zone di cloud storage), con particolare attenzione per il rinvenimento delle conversazioni in chat e caselle di posta elettronica e scambio e diffusione di files, nonché ogni altro tipo di materiale. Decreto disposto dal sostituto procuratore presso il Tribunale di Roma Eugenio Albamonte che ha dato seguito ad una informativa della Polizia di Prevenzione del 9 febbraio scorso. La perquisizione è terminata alle 17 del pomeriggio e ha messo a dura prova lo stesso personale di polizia estenuato dalla quantità di libri e materiale archivistico (scampato pochi mesi fa a un incendio), raccolto dopo anni di paziente e faticosa ricerca”.

Per Persichetti risulta quindi “singolare il fatto che non risultino effettuate perquisizioni in casa di quei giornalisti “confidenti” della Commissione, o direttamente al libro paga, che ricevevano informazioni di prima mano e diffondevano veline”. Quanto a lui, “la divulgazione di ‘materiale riservato’ (sic!), secondo la procura della Repubblica si sarebbe concretizzata in due reati ben precisi, il favoreggiamento (378 cp) e l’immancabile 270 bis, l’associazione sovversiva con finalità di terrorismo, che avrebbero avuto inizio l’8 dicembre 2015. Da cinque anni e mezzo, secondo la procura, sarebbe attiva in questo Paese un’organizzazione sovversiva (capace di sfidare persino il lockdown) di cui nonostante le molte stagioni trascorse non si conoscono ancora il nome, i programmi, i testi e proclami pubblici e soprattutto le azioni concrete (e violente, senza le quali il 270 bis non potrebbe configurarsi)”, prosegue Persichetti secondo il quale “è legittimo, a questo punto, chiedersi se il richiamo al 270bis sia stato un espediente, il classico ‘reato chiavistello’, che consente un uso più agevolato di strumenti di indagine invasivi (pedinamenti, intercettazioni, perquisizione e sequestri), in presenza di minori tutele per l’indagato“.

Secondo quanto ricostruito dallo stesso indagato, nei giorni in cui i pm datano l’inizio dei reati, la commissione parlamentare presieduta da Giuseppe Fioroni discuteva ed emendava la bozza finale della relazione che chiudeva il primo anno di lavori, approvata appena due giorni dopo, il 10 dicembre. “Copie di quella bozza finale erano pervenute in tutte le redazioni d’Italia ed io presi parte, per conto di un quotidiano con il quale collaboravo, alla conferenza stampa di presentazione – ricorda Persichetti -. Cosa abbia giustificato un tale imponente dispositivo poliziesco, il saccheggio della mia vita e della mia famiglia, la perquisizione della casa, la sottrazione di tutto il mio materiale e dei miei strumenti di lavoro e di comunicazione, della documentazione amministrativa e medica di mio figlio disabile di cui mi occupo come caregiver, la spoliazione dei ricordi della mia famiglia, foto, appunti, sogni, dimensioni riservate, la nuda vita insomma, non so ancora dirvelo. Ne sapremo qualcosa di più nei prossimi giorni, quando la procura a seguito della richiesta di riesame avanzata dal mio difensore, avvocato Francesco Romeo, dovrà versare le sue carte”.

Secondo Persichetti, infine, “quello che è chiaro fin da subito è invece l’attacco senza precedenti alla libertà della ricerca storica, alla possibilità di fare storia sugli anni 70, di considerare quel periodo ormai vecchio di 50 anni non un tabù, intoccabile e indicibile se non nella versione quirinalizia declamata in queste ultime settimane, ma materia da approcciare senza complessi e preconcetti con i molteplici strumenti e discipline delle scienze sociali, non certo penali e forensi”, sottolinea ancora l’ex Br.

“Mi sono state sottratte le tonnellate di appunti schemi, note e materiali con i quali stavo preparando diversi libri e progetti. Ho dovuto rinunciare in queste ore a un libro che dovevo consegnare nel corso dell’estate, perché i capitoli sono stati sequestrati. Forse qualcuno ha pensato di ammutolirmi relegandomi alla morte civile”, aggiunge parlando di “intimidazione gravissima che deve allertare tutti in questo Paese, in modo particolare chi lavora nella ricerca, chi si occupa e ama la storia. Oggi è accaduto a me, domani potrà accadere ad altri se non si organizza un risposta civile ferma, forte e indignata”.

“Persichetti viene accusato del reato di associazione sovversiva, che sarebbe in corso dal 2015 a oggi, è una cosa fuori dal mondo – ha commentato all’Adnkronos il difensore dell’indagato che ha presentato ricorso al Riesame contro il sequestro di telefoni cellulari e altro materiale informatico – un’associazione sovversiva che in questi anni non ha compiuto alcun atto. Si tratta di un’accusa fantasiosa, costruita a tavolino”.

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