Gli ecologi e gli ecologisti sono etichettati come nemici del progresso, con le loro predizioni di “catastrofi”: le Cassandre dell’ecologia, i “gretini”. La più drammatica catastrofe individuale è la propria morte e quella delle persone care. Se la morte è improvvisa, come nel caso della funivia o del ponte autostradale, si arriva a parlare di omicidio. Ma c’è una diversa modalità di uccidere: far morire.

I cittadini di Taranto hanno subito condizioni ambientali avverse, determinate da un’acciaieria inquinante, che li ha “fatti morire”. I tassi di mortalità per affezioni polmonari sono molto più alti a Taranto che in altri siti dove non ci sono sorgenti inquinanti di entità simile a quella dell’acciaieria. I casi in cui la morte arriva lentamente, e non c’è la “pistola fumante” che dimostri le responsabilità, sono moltissimi: le emissioni delle centrali a carbone, i rifiuti smaltiti in posti come la terra dei fuochi, i pesticidi che inquinano le falde acquifere e l’aria, il traffico automobilistico, le emissioni industriali, la gestione del territorio che provoca inondazioni e frane che “tolgono la vita” a moltissime persone.

Tutto in nome del “progresso” e della crescita. Lo stiamo vedendo anche con la gestione della pandemia. Qualcuno invoca prudenza e cautela, per evitare migliaia di morti, e qualcuno invoca la ripresa di tutte le attività per motivi economici. Sembra che ci sia un conflitto di priorità: a cosa dare la precedenza?All’economia o alla salvaguardia dell’ambiente e della salute umana? Come se chi è preoccupato per la salute umana e ambientale fosse contro l’economia. Si dimenticano i costi economici per curare i malati, risanare l’ambiente, bonificare. Per non parlare, ovviamente, del costo sociale della perdita prematura di vite umane. Pare che “preoccuparsi” sia di sinistra e “non preoccuparsi” sia di destra. Ma la “sinistra” non si è mai spesa per la salvaguardia dell’ambiente, mettendo il “lavoro” davanti alla natura e alla salute, cedendo al ricatto occupazionale. Vuoi un’acciaieria che non inquina? E allora la spostiamo in India, dove ci lasciano fare quel che vogliamo. Così si accetta il cancro in cambio del lavoro.

La transizione ecologica del Piano Nazionale di Recupero e Resilienza si basa sulle tecnologie, e continua a vedere la sicurezza e la salvaguardia ambientale come un limite allo sviluppo. La semplificazione delle procedure autorizzative è necessaria, perché un’eccessiva complessità genera corruzione (si paga chi deve dare le autorizzazioni, in modo che sblocchi le procedure) o immobilismo (non si decide per il timore di conseguenze legali). La soluzione consiste nel rimuovere i controlli e le specifiche di sicurezza ambientale e sanitaria, confidando nel senso di responsabilità delle imprese.

La gestione della rete autostradale, e quella di una funivia, mostrano che questo senso di responsabilità non è così diffuso. Se lo fosse, l’Unione Europea non investirebbe così tanto nella transizione ecologica: fino ad ora non abbiamo dato importanza all’ecologia (la scienza che studia la natura), e non solo in Italia. Le tecnologie sono un mezzo necessario per la transizione ma, da come stiamo impostando la gestione del Pnrr, pare che siano un fine, e si pensa di realizzare la transizione ecologica senza l’ecologia. Confidando che le tecnologie possano risolvere i problemi senza averli ben definiti e senza controllare se le soluzioni proposte sono veramente efficaci nel salvaguardare l’integrità della natura.

La verifica non può essere fatta dai tecnologi: ci vogliono ecologi. Tenuti accuratamente da parte nello sviluppo del Pnrr dove, come ho avuto modo di rimarcare innumerevoli volte, la natura è considerata solo come fornitrice di risorse. Questa “visione”, che conferisce centralità allo sfruttamento della natura per acquisire vantaggi economici, è ancora prevalente. Si è arrivati, nei commenti ai miei post, a preconizzare un tempo felice in cui potremo bypassare la biodiversità, dipinta come qualcosa di nefasto.

L’aspettativa è che tutto giri attorno a noi, e che se qualche componente della natura ci è ostile (l’orsa che difende i cuccioli, il serpente velenoso) dobbiamo sbarazzarcene. Cosa che facciamo con i pesticidi in agricoltura: uccidono ogni forma di vita che interferisca con la fruizione della specie che coltiviamo. Per la quale abbiamo preparato il campo, eradicando ogni altra forma di vita. All’estremo opposto ci sono gli animalisti, che si oppongono alla sperimentazione animale perché “inutile” e, contro ogni evidenza, affermano che i farmaci si possono sviluppare senza l’uso di modelli animali. Contraddicendo con sprezzo del ridicolo le affermazioni di Premi Nobel per la medicina, per non parlare degli sviluppatori di vaccini.

Manca la cultura sia in chi nega il valore della natura, sia in chi la beatifica. La natura non è né di destra né di sinistra: c’è. E noi ne facciamo parte. Non riusciremo a distruggerla, ma se la altereremo troppo eroderemo le premesse per il nostro benessere e la nostra esistenza. Capito questo, saremo pronti per la transizione ecologica. La transizione ecologica avverrà solo a seguito di una transizione culturale.

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