“Poi la verità… la sanno, perché c’hanno visto. E anche perché dato che hanno fatto quell’azione dopo 15-20 minuti della sottrazione della borsa all’interno del mezzo del giudice, avranno visto che il giudice non aveva nulla in mano. E se lo sportello dell’auto fosse stato aperto non si sarebbe salvato nulla dell’interno, anche perché l’auto di Borsellino era proprio davanti”. È questo uno dei passaggi chiave dell’audizione di Antonio Vullo, agente di scorta del giudice Paolo Borsellino, l’unico sopravvissuto all’attentato del 19 luglio in Via d’Amelio. Ascoltato dalla commissione regionale antimafia, presieduta da Claudio Fava, Vullo ha ripercorso gli ultimi momenti di vita del giudice ucciso dalla mafia nel 1992: “È entrato per primo, non da solo, perché noi eravamo subito dietro, ma ha sorpassato una delle nostre auto, è passato avanti, entrando per primo in via d’Amelio e piazzandosi di fronte al portone. Poi è sceso. In mano non aveva nulla. Io guidavo l’auto, siamo entrati subito dopo di lui, la seconda auto doveva invece bloccare l’ingresso da via Autonomia siciliana: non siamo assolutamente entrati con sirene spiegate. I miei sono andati subito nel portone per fare la bonifica, mentre Emanuela Loi e Agostino Catalano hanno subito affiancato il giudice. Io sono andato in fondo alla strada dove c’era un muretto che delimitava il giardino interno. In un muro di tufo c’erano due buchi ma non ho notato nulla di particolare. Ho visto scendere il giudice”.

La ricostruzione di Vullo smentisce le ultime dichiarazioni del collaboratore di giustizia Maurizio Avola, che ha fornito elementi finora sconosciuti in una trasmissione su La7 e nel nuovo libro di Michele Santoro “Nient’altro che la verità”. E sono tanti gli elementi diversi dal racconto di Vullo: “Emanuela Loi non ha notato nulla di particolare e non ha avuto nessuna accelerazione verso qualcosa o qualcuno”. L’ex boss catanese, Avola, aveva invece raccontato di avere visto Loi avere uno scatto, come se avesse notato qualcosa: “”Borsellino scende dalla macchina e lascia lo sportello aperto – sono le parole del pentito – Io mi fermo, mi giro e lo guardo, mi accendo una sigaretta. Lo guardo, mi giro e faccio il segnale, verso il furgone a Giuseppe Graviano e vado a passo elevato. Mi dà 12 secondi per allontanarmi. Ho avuto la sensazione che Emanuela Loi ha visto il led rosso dell’auto, lei alza il passo e non capisco se sta andando verso la macchina. A quel punto mi sono allontanato. Se non esplodeva la macchina avrebbero attaccato con i bazooka“.

Questa la ricostruzione dell’ex boss, smontata punto su punto da Vullo, che invece aggiunge: “C’è stato un lungo momento dopo che il giudice ha suonato al citofono in cui Borsellino e i 5 agenti della scorta erano tutti accanto a lui. Catalano ha dato da accendere a Borsellino che fumava una sigaretta. Erano tutti lì, bersaglio perfetto, perché erano di fronte alla 126, e lo sono stati per più di un minuto, ma non è successo nulla. Ci deve essere stato qualcosa che li ha ostacolati. Non so se sia stato il mio sportello della macchina, lo avevo lasciato aperto e faceva interferenza con la radio: se lo sportello era aperto la radio non andava, se era chiuso invece sì. Forse ha interferito coi loro dispositivi. Qualcosa li ha ritardati. Me lo chiedo da allora: come mai non l’hanno fatto esplodere in quel momento?”.

Vullo ha poi smentito ci fossero altri agenti in via d’Amelio quel giorno: “Altri agenti in divisa? Assolutamente no, eravamo soli, ci avrebbe fatto piacere vedere qualcun altro, ma non c’era nessun poliziotto. Ed escludo che i miei colleghi avessero notato qualcosa, tutti e cinque erano rivolti verso dentro. Mentre sui missili pronti ad agire: “Avola parla dice 3, 4 persone ma per una cosa di queste dovevano essere di più e li avremmo notati”. Poi conclude: “L’unica cosa che mi ha ferito di tutta questa storia di Avola… Innanzitutto io sono stato sentito lo scorso anno in merito a questo nuovo pentito. Poi com’è stato presentato questo libro come la Verità, Santoro ha macchiato il nostro operato, noi abbiamo fatto da scudo e l’abbiamo fatto con molta dedizione con molta paura, la paura il giudice ce la faceva vincere, e l’abbiamo fatto col cuore perché il giudice Borsellino meritava veramente di essere protetto in modo adeguato invece sin da subito abbiamo visto che era solo e di conseguenza anche noi eravamo soli ed hanno voluto anche questo”.

Una lunga giornata quella della commissione antimafia siciliana che oggi ha ascoltato anche l’ex pm Antonio Ingroia e l’ex ministro dell’Interno Vincenzo Scotti. Capo del Viminale fino al giugno del 1992, Scotti aveva lanciato l’allarme sul pericolo incombente. In audizione ha confermato la versione di Claudio Martelli, all’epoca ministro della Giustizia, che aveva raccontato come lui e Scotti fossero invisi a Oscar Luigi Scalfaro perché avevano turbato la pax mafiosa. “Sì”, risponde subito Scotti a Fava, quando gli propone la ricostruzione dell’ex Guardasigilli: “Sono convinto che il calvario non è finito, che la mafia ancora colpirà e colpirà più in alto, non tutti vogliono capirlo”, sono le parole dell’ex ministro che riprende le sue stesse parole riportate in un articolo dell’epoca. Ma a chi si riferisce? “A tutti quelli che avevano criticato la nostra azione”, risponde. E ricorda: “In quel periodo arrivarono una serie di messaggi provenienti dalle fonti dei Servizi e delle forze dell’ordine con i quali si annunciava un inasprimento della reazione della criminalità. Io allora avevo chiesto di essere convocato di urgenza in Parlamento, ma mi trovai di fronte a una reazione violenta nei confronti del ministro dell’Interno, dicendo che avrei dovuto chiedere scusa per aver sollevato l’allerta e una tensione nel Paese”. Dopo Capaci, Scotti fu spostato dagli Interni agli Esteri, ma un giorno a Bruxelles, dopo alcune dichiarazioni da ex capo del Viminale, il “capo di gabinetto mi chiamò per dirmi che gli era stato detto di darmi indicazioni di non interferire”. A questo punto Fava lo incalza: “Da chi gli fu detto di non interferire?”. “Nessuno me lo ha chiesto finora – ha sottolineato Scotti –. Non saprei, io lo interpretai come un invito a non fare confusione”.

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