Che le grandi aziende “verdi fuori e nere dentro” abbondino non è un mistero. Il rapporto diffuso oggi da ClientEarth, associazione europea che si batte per la difesa dell’ambiente, aggiorna la classifica dei peggiori mistificatori tra le compagnie petroliferi globali. L’indagine spiega con dovizia di particolari ed esempi concreti come si svolge quel processo chiamato “greenwashing”. Vale a dire quella tecnica comunicativa per cui una società si racconta al pubblico come impegnata nella battaglia per l’ambientema nella realtà fa poco o nulla per ridurre il proprio impatto ambientale. Sotto la lente di ClientEarth ci sono le statunitensi Exxon e Chevron, le britanniche Ineos e Drax, l’anglo-olandese Shell, la francese Total, la norvegese Equinor (ex Statoil), la saudita Aramco e la tedesca Rwe. “Invece di impegnarsi realmente nella riduzione delle loro emissioni queste aziende investono in campagne pubblicitarie per distrarre e disinformare il pubblico” si legge nell’introduzione. L’indagine confronta poi gli annunci di queste nove multinazionali con quello che avviene realmente.

Nel 2020, ad esempio, la texana ExxonMobil ha registrato ricavi per 256 miliardi di dollari (212 miliardi di euro). Tra il 2010 e il 2018 la spesa della compagnia in fonti rinnovabili è stata appena lo 0,2% del totale. Oggi Exxon emette 730 milioni di tonnellate di Co2 all’anno, quanto l’intero Canada. La compagnia resta fortemente focalizzata sulle fonti fossili. Nelle campagne pubblicitarie su stampa Exxon si auto proclama “leader nella cattura del carbonio” e afferma di riassorbire circa 9 milioni di tonnellate di Co2 all’anno. Come abbiamo visto questo rappresenta meno del 2% delle sue emissioni annuali. “Gli esperti dicono che la cattura di Co2 è fondamentale per ridurre le emissioni. Ne siamo convinti anche noi”, si legge nelle pubblicità di Exxon. Dagli anni 90 la multinazionale finanzia ricerche che diffondo dubbi sulla veridicità dei dati sul cambiamento climatico. Nel 1989 è stata uno dei membri fondatori della Global Climate Coalition, gruppo di pressione internazionale che si opponeva alle politiche per ridurre le emissioni di gas serra, poi sciolto nel 2002. Dal 1998, si stima che ExxonMobil abbia finanziato con oltre 33 milioni di dollari gruppi che diffondono dubbi e disinformazione sul riscaldamento globale.

Shell ha incassato lo scorso anno 311 miliardi di dollari (258 miliardi di euro) e ha emesso 1,3 milioni di tonnellate di gas nocivi . Tra il 2010 e il 2018 ha destinato l’1% dei suoi investimenti allo sviluppo di energie rinnovabili. “Puntiamo a raggiungere emissioni zero entro il 2050” recita la sua pubblicità. Le strategie che poi indica per raggiungere questo risultato sono però largamente insufficienti. Nelle sue campagne la multinazionale ricorre spesso a “influencer” per trasmettere un’immagine positiva del marchio alle nuove generazioni. Aramco è la compagnia petrolifera di stato dell’Arabia Saudita. Nel 2019 ha incassato 330 miliardi di dollari. E’ il più grande emettitore di Co2 al mondo, il 4,4% di tutte le emissioni di Co2 che ci sono state nel mondo sono riconducibili a questo colosso. “Siamo impegnati nel trovare soluzioni per le emissioni e muoverci verso un futuro sostenibile”, recitano gli spot. Ma i piani industriali della compagnia non vanno in questa direzione e l’Arabia ha una lunga storia di opposizione alle misure adottate in difesa dell’ambiente.

La francese Total, 176 miliardi di incassi l’anno e 469 milioni di tonnellate di emissioni, scrive nei suoi piani che l’85% dei ricavi al 2030 continuerà ad arrivare da fonti fossili. Il budget destinato ai progetti di riduzione delle emissioni è pari al 2% del totale. Anche in questo caso la comunicazione al pubblico è molto fuorviante. La norvegese Equinor, 60 miliardi di ricavi e 265 milioni di tonnellate di emissioni, annuncia una trasformazione da compagnia petrolifera a compagnia energetica e il conseguente cambio di nome (ex Statoil). Nei prossimi anni la compagnia pianifica però di aumentare la produzione da fonti fossili e la sua produzione da rinnovabili nell’ultimo anno è calata. La britannica Drax si raccontacome uno dei gruppi energetici europei che emette meno gas nocivi. Mette in luce il suo impegno nel biomasse che però risultano essere più inquinanti del carbone. Si ripropone di avere un impatto negativo (assorbire più gas di quanto ne produce) entro il 2030. Ma questa previsione si basa su un conteggio di emissioni zero per le biomasse che contraddice le evidenze scientifiche che le definiscono una “falsa soluzione” per l’ambiente.

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