Nell’Inghilterra che ha riaperto le attività essenziali e che attraverso un severo e perdurato lockdown ha abbattuto morti e contagi per Covid mentre la campagna vaccinale continua a procedere spedita, c’è un nuovo elemento che complica il quadro pandemico. Si tratta della ‘variante indiana’, classificata con la sigla B.1.671 e divenuta predominante in India. Nel Regno Unito finora è stata riscontrata in 77 casi. Per Danny Altmann, professore di immunologia dell’Imperial College, la nuova variante potrebbe “fare naufragare” il cammino verso la libertà della Gran Bretagna, anche se per i medici britannici si tratta al momento di “una variante d’interesse“, e non di un’allerta vera e propria tenuto conto dell’impatto ancora limitato e circoscritto. Ma le preoccupazioni non mancano, perché questo ceppo presenta una doppia mutazione rispetto a quello originario e appare più facilmente trasmissibile. In parallelo, il Regno Unito ha lanciato negli ultimi giorni un allarme specifico anche per l’individuazione alcune decine di contagi con un’altra variante, quella ‘sudafricana’, considerata potenzialmente più resistente ai vaccini disponibili: casi finora concentrati in 4 focolai, in altrettante zone di Londra.

Nonostante la scoperta, però, il viaggio di Boris Johnson in India – travolta da una nuova ondata di contagi – previsto a fine mese si terrà regolarmente, e si tratta della prima visita internazionale da quando è stato siglato l’accordo post Brexit con l’Unione europea. Il Regno Unito ha infatti legami significativi con il colosso asiatico, nel quale vengono eseguiti più test di qualunque altra nazione al mondo sul genoma umano: test in grado di tracciare in anticipo le varianti.

L’ipotesi della terza dose contro le varianti – Intanto il professor Jeremy Brown, immunologo all’University College di Londra e membro del Joint Committee of Vaccination and Immunisation, l’organismo scientifico indipendente che assiste il governo di Boris Johnson in materia di campagna vaccinale sull’isola, avanza l’ipotesi di dover “mischiare” i diversi vaccini anti Covid, specie laddove si rendessero necessari richiami ulteriori oltre la seconda dose con versioni aggiornate tarate in modo più specifico sulle varianti del virus, non è da escludere secondo uno dei maggiori specialisti britannici.

Per Brown, potrebbe trattarsi di una necessità pratica “una volta che si sarà completata la somministrazione della doppia dose di Moderna, o Pfizer, o AstraZeneca, visto che in futuro sarà difficile poter garantire la disponibilità dello stesso tipo di vaccino” a tutte le singole persone. A suo giudizio non vi sono controindicazioni del resto assolute al riguardo, anche se occorre attendere “i dati” delle prime sperimentazioni in atto sul “mix” di vaccini in termini di “risposta immunitaria”. Parlando a Bbc Radio 4, l’accademico britannico ha poi avvertito che i vaccini, “per quanto importanti”, potrebbero non bastare a impedire “una terza ondata” se il virus riprendesse forza, con una potenziale minaccia di “altri 30mila-50mila morti” nel Regno. Aggiungendo che il contenimento della pandemia continuerà a dipendere per un certo periodo anche da altri fattori, in particolare dal rispetto di “misure di distanziamento sociale“.

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