Il “pubblico ministero come organo di giustizia non vince e non perde i processi, ma in conformità alle norme costituzionali li istruisce”. È una nota firmata dal presidente del Tribunale di Milano Roberto Bichi, dal procuratore Francesco Greco e da altri vertici del Palazzo di Giustizia, che arriva dopo un incontro e sigla la “pace” dopo le polemiche dei giorni scorsi in seguito all’assoluzione degli imputati del processo Eni-Nigeria. “Il Giudice terzo (…) verifica la tesi dell’accusa e della difesa – si legge ancora – e decide in piena autonomia”.

Oltre al procuratore Greco all’incontro erano presenti i procuratori aggiunti Maurizio Romanelli ed Eugenio Fusco, il presidente vicario del Tribunale Fabio Roia e il presidente dell’Ufficio gip/gup Aurelio Barazzetta. Nei giorni scorsi, il presidente Bichi con una lettera indirizzata al collegio, che ha emesso la sentenza sul caso nigeriano, aveva difeso i giudici Tremolada (presidente), Gallina e Carboni. Missiva nella quale Bichi aveva preso una dura posizione nei confronti dei pm che hanno sostenuto l’accusa nel processo per “la gravità delle insinuazioni fatte circolare”, che hanno messo in dubbio “il carattere di terzietà” del collegio. Con un comunicato, poi, Greco aveva espresso il suo appoggio all’aggiunto Fabio De Pasquale e al pm Sergio Spadaro affermando di essere al loro “fianco”. Inoltre, ad alimentare le tensioni c’erano state le parole del sostituto pg Celestina Gravina nel processo d’appello a carico di due presunti mediatori nel caso Nigeria, la quale aveva addirittura stigmatizzato lo “spreco di risorse” nelle indagini.

Il comunicato di oggi sembra cercare di rasserenare il clima. “La giurisdizione milanese ha sempre rispettato e valorizzato i principi costituzionali del giusto processo e dell’obbligatorietà dell’azione penale, della funzione del pubblico ministero come organo di giustizia – che dunque non vince e non perde i processi, ma in conformità alle norme costituzionali li istruisce -, del ruolo del Giudice terzo che verifica le tesi dell’accusa e della difesa e decide in piena autonomia interpretando le norme e applicandole alla luce dei risultati probatori acquisiti nel processo nel contraddittorio delle parti”.

E ancora: “Su questi principi vi è una comune e condivisa cultura che nessuna vicenda processuale o aspettativa terza potrà in alcun modo scalfire e mai è venuta meno, pur nell’ovvia autonomia e distinzione dei ruoli istituzionali e ordinamentali, anche in occasione di un recente e rilevante processo portato a termine nonostante accertati tentativi di influenza e condizionamento esterno, come acquisito nei procedimenti gestiti nelle sedi competenti”. L’ultimo riferimento è alle indagini in corso sul cosiddetto “falso complotto Eni” e alle dichiarazioni rese dall’ex legale esterno della compagni petrolifera Piero Amara, che hanno portato anche ad un fascicolo archiviato a dicembre a Brescia.

Proprio su questo particolare si era concentrato il comunicato di Francesco Greco la scorsa settimana offrendo l’appoggio totale perché “nonostante le intimidazioni subite hanno svolto il loro lavoro con serenità, professionalità e trasparenza”. Una nota che si era resa necessaria proprio in riferimento “ai recenti articoli di stampa sul processo” e che hanno criticato, cercando di delegittimarla, la Procura milanese. I pm avevano chiesto pene fino a 8 anni per gli imputati, tra cui ad ex ad di Eni, e una confisca di oltre un miliardo.

Nella nota Greco ha voluto precisare che “in relazione ai recenti articoli di stampa”, che durante le indagini sulla presunta tangente nigeriana “sono stati imbastiti da un avvocato dell’Eni, presso la Procura di Trani e presso la Procura di Siracusa, due procedimenti finalizzati ad inquinare l’inchiesta” milanese “e a danneggiare l’immagini di alcuni consiglieri indipendenti” della compagnia petrolifera, “segnatamente Luigi Zingales e Karina Litvack; per taluni fatti specifici, gli imputati, tra i quali un magistrato, hanno ammesso gli addebiti e sono già stati condannati. Il procuratore, facendo sempre riferimento all’indagine sul presunto “complotto” ha aggiunto che “nell’azione di inquinamento, chi l’ha ideata e portata avanti ha anche cercato di delegittimare il pubblico ministero di Milano“. Greco, “nel ribadire che in materia di corruzione internazionale l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale è rafforzata dagli impegni assunti dallo Stato italiano con la Convenzione Ocse di Parigi del 1997, è al fianco – conclude la nota – dei colleghi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, i quali nonostante le intimidazioni subite, hanno svolto il loro lavoro con serenità, professionalità e trasparenza”.

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