“Per le imprese che toccano la linea di fondo del nostro Paese, la risposta è molto chiara: non comprare!”. Un messaggio chiaro quello che arriva dalla tv statale cinese Cctv, che chiede il boicottaggio dei prodotti H&M. Dalle colonne invece di Global Times parte la stessa richiesta nei confronti di Burberry, Adidas, Nike, New Balance e Zara. Tutti colpevoli di avere criticato lo Xinjang e la violazione dei diritti degli uiguri, e – come ha fatto esplicitamente H&M – di avere rifiutato l’acquisto del cotone della ragione perché frutto di lavoro forzato. Attacchi mirati che arrivano nel mezzo degli sforzi di Pechino per rigettare le accuse di genocidio e sfruttamento a danno di uiguri e altre minoranze musulmane, a pochi giorni dalle sanzioni imposte dall’Unione europea alla Cina, alle quali Pechino ha replicato con misure ancor più pesanti.

Secondo ricercatori e governi stranieri, più di un milione di persone nello Xinjiang, la gran parte appartenenti a gruppi etnici musulmani, sono state confinate nei campi di lavoro che, secondo Pechino, sono uno strumento di promozione dello sviluppo economico e sociale, e di lotta a estremismo e radicalismo. I cinesi hanno “il diritto di esprimere i propri sentimenti. Non accettano che le società straniere da un lato guadagnino denaro da loro e dall’altro diffamino la Cina. Rifiutare il cotone dello Xinjiang, tra i migliori al mondo, è una perdita per i marchi”, ha commentato la portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying.

“La cosiddetta esistenza del lavoro forzato nella regione dello Xinjiang è totalmente fasulla”, ha affermato Gao Feng, portavoce del ministero del Commercio, che, nel corso della conferenza stampa settimanale, ha invitato le società straniere a “correggere le pratiche sbagliate” e a evitare di politicizzare le questioni commerciali, aggiungendo che “l’impeccabile cotone dello Xinjiang non consente alle forze di screditarlo e di contaminarlo”. Celebrità tra cui Wang Yibo, un popolare cantante e attore, hanno annunciato lo stop ai contratti di sponsorizzazione con H&M e Nike. Mentre il Global Times, il tabloid del Quotidiano del Popolo, la ‘voce’ del Partito comunista, ha detto che anche Burberry, Adidas, Nike e New Balance hanno fatto “osservazioni taglienti” sul cotone dello Xinjiang. Sempre lo stesso quotidiano ha citato quello che ha detto di essere una dichiarazione di Zara che aveva un “approccio di tolleranza zero nei confronti del lavoro forzato”.

La dichiarazione incriminata di H&M incriminata è dello scorso anno e citava la decisione di Better Cotton Initiative, un gruppo industriale che promuove gli standard ambientali e di qualità del lavoro, di interrompere la concessione di licenze per il cotone dello Xinjiang perché era “sempre più difficile” risalire a come veniva prodotto. I netizen hanno preso di mira anche altri marchi dell’abbigliamento, come la nipponica Uniqlo e l’americana Gap, come possibili autori di attacchi alla regione cinese del nordovest e alla sua produzione di cotone.

Il caso H&M – La compagnia, in una nota dello scorso anno, aveva affermato che non avrebbe lavorato “con alcuna fabbrica di abbigliamento situata nello Xinjiang“, assicurando di non offrire alcun “manufatto proveniente da questa regione”.
I media cinesi hanno riferito che i prodotti H&M sono stati rimossi dalle principali piattaforme locali di e-commerce, come JD.com, Taobao e Pinduoduo. La filiale cinese di H&M ha precisato che il gruppo “ha costantemente sostenuto i principi di apertura e trasparenza nella gestione delle catene di fornitura globali, assicurando il rispetto dell’impegno per lo sviluppo sostenibile delineato dalle Linee guida dell’Ocse per una condotta aziendale responsabile, senza voler rappresentare alcuna posizione politica”.

Una posizione insufficiente a placare gli utenti cinesi della rete, infiammati da un post virale della Lega della Gioventù Comunista che sulla sua piattaforma Weibo, il Twitter locale, dove conta più di 15 milioni di follower, aveva scritto: “Diffamare e boicottare il cotone dello Xinjiang mentre si spera di fare soldi con la Cina? Non lo si può nemmeno sognare!”. La stessa agenzia di stampa statale Xinhua ha pubblicato un commento online dicendo che il gruppo svedese avrebbe pagato la sua mossa. Infatti alcune celebrità cinesi hanno risposto all’appello e hanno tagliato i legami. Ad esempio, l’attore Huang Xuan si è affrettato a chiarire di aver chiuso tutti i rapporti d’affari con l’azienda svedese.

La Cina, che è il quarto mercato più grande di riferimento di H&M con 520 negozi, secondi per numero solo ai 593 degli Usa, produce il 22% del cotone mondiale, di cui l’84% concentrato nello Xinjiang, in base a una ricerca del think tank americano Center for Strategic and International Studies. Quella di H&M è l’ultima di una lista di controversie che le multinazionali straniere hanno incontrato in Cina negli ultimi anni e che, in base alle tensioni attuali crescenti, potrebbe presto allungarsi ulteriormente.

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“Le sanzioni dell’Europa alla Cina sono le prime da piazza Tienanmen. Ma Bruxelles non seguirà gli Usa nello scontro con Pechino”

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