Lo scontro tra Unione europea e Cina, determinato dalle sanzioni per la violazione dei diritti umani nello Xinjang e dalla risposta analoga di Pechino nei confronti di europarlamentari ma anche di accademici e di un centro di ricerca tedesco, arriva dopo il difficile vertice di Anchorage (Alaska) tra gli Stati Uniti e la Cina, dove il segretario di Stato americano Antony Blinken ha ribadito la linea dura di Washington nei confronti del gigante asiatico. Una tempistica “infelice” quella delle sanzioni Ue – spiega Giulia Sciorati, ricercatrice per l’Osservatorio Asia di Ispi ed esperta di Cina e relazioni internazionali – perché suggerisce che Bruxelles stia guardando agli Usa per capire come muoversi con Pechino. Ma l’Europa è auspicabile che mantenga il suo ruolo di mediatore internazionale, senza acuire il livello di scontro, anche “per garantirsi l’autonomia strategica, evitando di ricadere sotto l’ombrello di altre grandi potenze. Che sia Cina o Stati Uniti“.

Partiamo dalle sanzioni dell’Europa: perché sono arrivate proprio adesso e proprio sugli uiguri?
Negli ultimi anni l’Ue si è sempre più interessata alla questione uiguri, basti ricordare che anche il premio Sakharov nel 2019 è andato a Ilham Tohti, attivista uiguro in carcere. È importante però ricordare cosa fosse scritto nell’accordo comprensivo sugli investimenti (Comprehensive Agreement on Investment, Cai), intesa di principio finalizzata a dicembre tra Ue e Cina che dovrebbe facilitare le relazioni commerciali tra aziende europee e cinesi, dando maggiore accesso al mercato di Pechino. Nel documento, che finora non è né entrato in vigore né è stato ratificato, l’Europa chiedeva alla Cina alcuni impegni concreti per eliminare il lavoro forzato, evitando così che in Ue arrivassero prodotti e merci ad esso legati. Nel documento veniva trattata esplicitamente anche la questione dello Xinjang e della produzione nei campi di internamento, in particolare del settore abbigliamento. Con la firma dell’accordo la Cina si impegnava a eliminare il lavoro forzato. E la questione uigura è uno dei punti fondamentali uno dei dossier caldi di politica interna cinese che ha sempre più impatto con l’esterno.

Perché l’Europa ha deciso di agire congiuntamente con Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna per le sanzioni?
Il fatto di agire in coordinamento con grandi democrazie occidentali significa porre la questione sul tavolo ‘dei grandi’ senza dipendere da nessuno e guardando alla propria autonomia strategica. Ma il rischio è che questo genere di azioni vada a polarizzare il rapporto con la Cina, rischiando di isolarla dall’Occidente. Un risultato che sarebbe controproducente, perché la via da percorrere è quella del dialogo.

La Cina però ha risposto con sanzioni nei confronti di eurodeputati e istituzioni Ue. Una reazione prevedibile?
Ci si aspettava che potesse esserci una controffensiva e anche in tempi rapidi, ma l’intervento cinese è stato molto aggressivo e ha incluso anche accademici e un centro di ricerca tedesco, il think tank ‘Mercator institute for China studies’ (Merix). Sono stati aggiunti alla lista insieme agli europarlamentari perché accusati di essere fonti di disinformazione che andavano a ledere interessi cinesi. Una motivazione piuttosto vaga. Di sicuro il fatto che anche un centro di ricerca sia stato colpito dalle sanzioni era molto inaspettato.

La controffensiva cinese è stata forte.
Sì, e sorprende che sia stata più pesante rispetto all’azione europea. Ma ricordiamo che sono le prime sanzioni che Bruxelles ha imposto dai fatti di piazza Tienanmen del 1989. Uno schiaffo anche simbolico che ha accentuato la risposta cinese. Le sanzioni di Pechino poi, a differenza di quelle europee, prevedono il divieto di ingresso e il congelamento di eventuali asset in Cina non solo per i destinatari delle sanzioni, ma anche per i loro famigliari. Per parte europea, si tratta inoltre di una procedura nuova visto che è andata ad attuare un regime sanzionatorio approvato a dicembre 2020. Oltre alla Cina Bruxelles ha sanzionato anche altri Stati, tra cui Myanmar, Libia e Sud Sudan.

Quali sono i principali punti di attrito tra Cina e Occidente, dunque Europa e Usa?
È centrale la questione dell’accesso al mercato, visto che quello cinese è ancora molto chiuso rispetto a quelli occidentali a cui accede Pechino. Si chiede che la Cina applichi le regole internazionali come richiedono i regolamenti. I punti di scontro sono tanti, però: resta la guerra commerciale dei dazi che permane anche con Biden, e poi la competizione tecnologica, in particolare sui semiconduttori. Gli Usa poi, con la nuova amministrazione, si sono riscoperti una potenza ‘Pacifica’, e cercano di ritrovare gli alleati classici dell’area – Corea del Sud, India, Australia e Giappone – per competere con la Cina anche a livello regionale. Con Trump l’interventismo americano era più limitato: il focus dei quattro anni è stato ‘America First’ e dunque la politica interna. Biden, in sostanza, sta cercando di costruire dei dialoghi di sicurezza, ovvero di arginare l’espansionismo cinese nei paesi alleati nel Pacifico.

Le sanzioni di Usa e Europa sembrano cementare anche l’asse Cina-Russia, che hanno chiesto un vertice tra membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, “in una fase di turbolenza politica” in cui i rapporti con l’Occidente sono sempre più tesi. È così?
Un avvicinamento tra Russia e Cina non è una novità ed è già in corso da diversi anni. Non la chiamerei alleanza, però, ma ‘matrimonio di convenienza’, una partnership che si infiamma nel momento in cui Mosca e Pechino si sentono attaccati dall’Occidente.

I vaccini hanno qualche peso nella formazione di questi due blocchi contrapposti?
Come i dazi, i semiconduttori, la mascherine e i respiratori inviati nella prima fase della pandemia, anche i vaccini sono elementi che spingono gli stessi trend di competizione e coordinamento tra Cina e Russia.

Nel primo summit Usa-Cina, Blinken ha detto espressamente che Pechino minaccia la stabilità globale. L’Europa seguirà gli Usa nello scontro con la Cina?
L’Europa si contraddistingue per il suo ruolo di mediatrice in favore del dialogo e non credo agirà diversamente o a favore della chiusura, proprio in nome della sua autonomia strategica. Le sanzioni per la tutela diritti umani rientrano nel solco dei valori europei.

Visto invece dalla Cina, cosa rappresenta l’attacco congiunto delle sanzioni di Usa ed Europa?
Un’interferenza negli affari interni del paese, così come viene ritenuto un affare interno la questione uigura. E Pechino teme che la Ue agisca in funzione anticinese seguendo gli Stati Uniti.

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