Non è contraria al diritto Ue la mancata reintegra nel posto di un lavoratore assunto con il Jobs Act che sia stato vittima di licenziamento illegittimo. E’ l’opinione della Corte Ue, che si è pronunciata così nella sentenza sul caso di una persona licenziata insieme ad altre 350 da Consulmarketing e poi non reintegrata a differenza delle altre nonostante il Tribunale di Milano avesse definito illegittimo il licenziamento. Quel dipendente infatti era stato assunto dopo l’entrata in vigore della riforma renziana, che in quel caso prevede solo un risarcimento monetario. Dunque non c’è stata discriminazione, ritengono i giudici europei, ma solo l’applicazione della differente normativa applicabile al suo caso.

Per effetto del Jobs Act, spiega la Corte, “vi sono due regimi successivi di tutela dei lavoratori in caso di licenziamento collettivo illegittimo. Da un lato, un lavoratore a tempo indeterminato, il cui contratto è stato stipulato fino al 7 marzo 2015, può rivendicare la sua reintegrazione nell’impresa. D’altro lato, un lavoratore a tempo indeterminato, il cui contratto è stato stipulato a partire da tale data, ha diritto soltanto a un’indennità entro un massimale”. Il Tribunale di Milano, ricordano i giudici, “ha chiesto alla Corte se il diritto dell’Unione osti ad una simile normativa”. Con la sentenza di oggi, “la Corte risponde negativamente a tale questione”.

In Italia la Corte costituzionale ha in compenso già bocciato i criteri su cui il Jobs Act prevedeva che fossero calcolati gli indennizzi, restituendo al giudice la valutazione sulla cifra.

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