Ormai abbiamo capito da anni che il sistema finanziario mondiale si regge sul principio della privatizzazione degli utili e della socializzazione delle perdite. Finché i mercati tirano, i grandi investitori fanno affari d’oro con interessi in doppia cifra; quando le borse crollano, e le banche “too big to fail” scricchiolano, non di rado interviene “Pantalone” con vari meccanismi di salvataggio pubblico o di nazionalizzazione.

Ora, la domanda da porsi è: rischiamo di replicare un simile schema anche rispetto ai danni collaterali che il prossimo vaccino potrebbe portare con sé? In Canada, il ministro della Sanità Patty Hajdu ha appena annunciato che chi accuserà reazioni gravi per effetto della somministrazione del vaccino anti-Covid potrà chiedere e ottenere un pubblico risarcimento. Nel Regno Unito già si parla di un piano “nazionale” di indennizzi.

In generale, le aziende di Big Pharma sono state molto attente nell’inserire clausole di salvaguardia da qualsiasi azioni risarcitoria dovesse essere promossa per danni vaccinali. L’agenzia Reuters, il 31 luglio scorso, ha diffuso la notizia che AstraZeneca non sarà tenuta a risarcire danni vaccinali perché “la pharma britannica ha raggiunto questo accordo con la maggior parte dei Paesi con i quali ha stipulato un contratto di fornitura”.

Questa è la vera ragione per cui l’imposizione di un obbligo vaccinale in Italia è tutt’altro che improbabile. Infatti, nel nostro paese l’unica legge sugli indennizzi per danni da vaccino (la 210/92) prevede – affinché lo Stato se ne faccia carico – che quel vaccino sia obbligatorio, sia pure con i distinguo di cui ci apprestiamo a dire.

A questo punto, però – e preliminarmente – la domanda ineludibile diventa: è lecito ordinare a tutti, per legge, un vaccino? O è, piuttosto, preferibile ricorrere a un modo più “gentile”, come direbbe il premier Giuseppe Conte, per proporlo, anziché imporlo? I vaccini fanno davvero (sempre) bene? E se, invece, fanno (talvolta) male, è giusto che il cittadino danneggiato sia risarcito? Ed è giusto che di questo risarcimento debba farsi carico lo Stato e non invece le aziende che godono di tutti i miliardari ritorni economici del relativo business? Tutte queste domande erano già scottanti prima dello tsunami Covid-19. Oggi, alla luce di quanto accaduto, sono quesiti addirittura incendiari.

Perciò, è di grande interesse una recente sentenza della Corte Costituzionale, la numero 118 del 23 giugno scorso, con la quale la Consulta ha dichiarato parzialmente illegittimo l’articolo 1, comma 1 della succitata legge 25 febbraio del 1992, numero 210. Ma perché la norma in oggetto è finita all’attenzione della Corte Costituzionale?

Tutto nasce da una eccezione di incostituzionalità sollevata dalla Cassazione. Secondo la Suprema Corte, infatti, quell’articolo sarebbe contrario alla nostra Carta fondamentale, perlomeno laddove prevede il diritto all’indennizzo solo a beneficio di coloro i quali riportano pregiudizi a causa di un vaccino obbligatorio; e non anche a favore di chi a quel vaccino si è sottoposto spontaneamente. Magari sulla base di una mera “raccomandazione” della pubblica autorità.

Ebbene, la Corte Costituzionale ha dato ragione ai giudici del Palazzaccio. In buona sostanza, i magistrati della Consulta hanno rilevato come, nel caso di specie, la cosiddetta “raccomandazione” si fosse in realtà tradotta in una “ampia e insistita campagna di informazione” da parte delle autorità sanitarie. Per effetto della quale una giovane pugliese era stata convocata presso gli ambulatori dell’Asl mediante una missiva che presentava la vaccinazione contro l’epatite A “non tanto come prestazione raccomandata, ma quasi come se fosse stata obbligatoria”. La pronuncia fa seguito a due analoghe sentenze del Giudice delle Leggi: la numero 107 del 2012 (in materia di morbillo) e la numero 268 del 2017 (in materia di vaccino antinfluenzale).

In effetti, e a ben vedere, la differenza tra “obbligo” e “raccomandazione”, nella pratica medico-sanitaria, è assai meno marcata di quella che separa i due concetti nei rapporti giuridici. Tradotto: le chiamano raccomandazioni, ma in realtà qualsiasi cittadino le percepisce, recepisce e interpreta come coercizioni. Soprattutto perché l’uomo della strada è portato, di regola, a riporre “affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorità sanitarie” (parole della citata sentenza). Tutto ciò ha condotto la Corte Costituzionale alla declaratoria di illegittimità.

Ora, è evidente come questa pronuncia apra scenari da monitorare, atteso che il governo sta per intraprendere la strada, da molti auspicata, di una vaccinazione di massa contro il nuovo Coronavirus. Un’attenzione doverosa non solo nel caso in cui si dovesse optare per un imperativo esplicito, ma anche in quello in cui si dovesse propendere per una sorta di “moral suasion” concepita per indurre “spontaneamente” il maggior numero di persone a vaccinarsi. Alla fine, in entrambi i casi, pagherebbe lo Stato.

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