Un paese disgregato. Così appare oggi la Spagna, stretta com’è tra le spinte indipendentiste e lo smarrimento dell’istituzione monarchica.

Pochi giorni fa Bildu, il partito secessionista basco nato dalle ceneri di Herri Batasuna, formazione un tempo vicina al terrorismo dell’Eta, ha rilanciato un progetto già noto: costruire la repubblica confederale con due regioni del nord, i Paesi Baschi e la Navarra.

Altro nuovo Stato repubblicano vorrebbero edificarlo trecento chilometri a sud-est, in Catalogna, dove il 1 ottobre di appena tre anni fa, un improvvisato referendum, dichiarato illegittimo dal Tribunale costituzionale di Madrid, chiamava i cittadini a decidere “Volete che la Catalogna sia uno Stato indipendente in forma di repubblica?”.

Una consultazione analoga per il “derecho a decidir” vorrebbero ora organizzarla nelle regioni del nord. Con differenze di fondo rispetto alle iniziative prese dal separatismo catalano, seguire innanzitutto i crismi della legalità, che in termini pratici vuol dire cambiare la Carta costituzionale, esercitando pressioni sul governo di sinistra ora che la risicata maggioranza ha disperato bisogno dei 5 voti di Bildu per l’approvazione della legge finanziaria.

Il nazionalismo regionale ha in Podemos un grimaldello importante nell’esecutivo, Pablo Iglesias, leader della formazione di sinistra radicale e vice del premier Pedro Sánchez, non ha mai considerato un dogma l’unità nazionale e spinge per vedere implicate le forze separatiste nelle scelte di governo, anche per respingere le tentazioni socialiste di accordi con i centristi di Ciudadanos.

In mezzo, al centro delle agitate acque della politica, c’è la monarchia.

Il re emerito, Juan Carlos de Borbón, vive un “esilio” dorato negli Emirati Arabi, circondato da una privacy assoluta, la stampa spagnola sottolinea come da mesi non si hanno sue notizie. Sui giornali rimbalzano solo gli sviluppi delle tre indagini per corruzione aperte nei confronti dell’antico monarca, con echi che arrivano dagli inquirenti sulle difficoltà incontrate per scalfire il muro del segreto bancario elvetico. È proprio lì, nei caveau svizzeri, che sarebbero custoditi i milioni di dollari elargiti, secondo l’accusa, dagli emiri sauditi.

Felipe VI, tolti titoli e vitalizi al padre per recuperare credibilità, è messo in discussione per le sue azioni politiche e istituzionali. Pochi giorni fa Podemos, seguito da alcuni settori del PSOE, si è unito agli indipendentisti chiedendo che il Re formalizzi le sue scuse al popolo catalano per il discorso alla tv di Stato del 3 ottobre, tre giorni dopo il referendum farsa in Catalogna, allorquando in fasi concitate richiamò, torvo in viso, all’unità e al rispetto della Costituzione.

Così il 6 dicembre, festa della Costituzione (la Carta fu ratificata il 6 dicembre del 1978), è un giorno di profonda lacerazione. Con nuova benzina sul fuoco lanciata in queste ore dalla Corte Suprema la quale ha revocato la semilibertà ai leader indipendentisti condannati, quali attori di quel discusso referendum, per sedizione e malversazione di fondi pubblici.

Sembrano lontanissimi i tempi della costituente quando Miquel Roca, allora leader dell’autonomismo catalano, affermava “le nazionalità sono nazioni senza Stato”.

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