Per i quattro bambini morti a causa del Citrobacter Koseri, per gli altri 9 che hanno subito gravi lesioni cerebrali e per il centinaio di pazienti infettati, il ministero della Salute accusa la Direzione dell’Azienda ospedaliera di Verona. Per avere sottovalutato e gestito in modo non adeguato la situazione critica determinatasi nei reparti di terapia intensiva neonatale e pediatrica a causa del batterio-killer. Per non aver predisposto un’organizzazione complessiva in grado di monitorare i rischi da infezioni. Infine, per le carenze nelle indicazioni date al personale che lavora nella struttura ospedaliere e ai genitori che fanno visita ai pazienti. Sono molto severe le conclusioni a cui è giunta la commissione ispettrice presieduta da Ruggero Urbani che il 4 settembre si era recata a Verona e che ora ha inviato l’incartamento alla Regione Veneto, che lo ha girato e al commissario dell’Azienda ospedaliera veronese, Francesco Cobello. È la conferma delle conclusioni a cui erano giunti gli ispettori della Regione Veneto e dei sospetti di Francesca Frezza, la madre di Nina – la bimba morta nel 2019 al Gaslini di Genova, dopo il trasferimento da Verona – che ha avuto il coraggio di denunciare una situazione di cui nessun sembrava volersi far carico.

Numerose le contestazioni. “Le criticità riscontrate sono ascrivibili in prima istanza alla mancanza di una forte governance da parte dei vertici della direzione aziendale, tale da non favorire la definizione di un piano chiaro di integrazione tra le diverse strutture che si occupano di infezioni correlate all’assistenza e di conseguenza di mettere in atto le dovute e immediate azioni di contenimento e miglioramento”. Urbani, che è direttore generale della Programmazione sanitaria al ministero della Salute, indica le strutture coinvolte: “Direzione medica ospedaliera per le Funzioni Igienico-Sanitarie e Prevenzione dei Rischi, Servizio di Igiene ospedaliera, Comitato Infezioni Ospedaliere-Cio e Gio Servizio di Microbiologia e Osservatorio Epidemiologico”.

Secondo gli ispettori, il sistema si è messo in moto con grande lentezza solo dopo gli articoli di stampa di fine 2019. Un anno fa il Servizio d’igiene aveva segnalato la presenza di bimbi in isolamento, ma “senza indicazione del numero e della motivazione”. Il Comitato infezioni ospedaliere non ha mai “rilevato, né trattato l’argomento Citrobacter”. E la Microbiologia, che pure ha eseguito un migliaio di tamponi, “non ha segnalato la presenza di un patogeno particolare”. Azienda Zero della Regione Veneto ha chiesto informazioni nel dicembre 2019 e solo a quel punto il commissario Cobello ha istituito una commissione disciplinare interna, che però si è limitata al caso di Nina Frezza, “concludendo con una possibile trasmissione verticale madre-feto”. Soltanto dal 14 gennaio la commissione ha cominciato a collegare i decessi e messo all’ordine del giorno dei lavori “analisi del fatto per Citrobacter”.

I reparti di terapia intensiva neonatale e pediatrica sono stati chiusi a giugno, assieme al punto nascite dell’ospedale di Verona. Gli ispettori romani contestano la versione di Cobello, “che ha ripetutamente rappresentato di essere venuto a conoscenza dell’infezione da Citrobacter solo dal maggio 2020”. In realtà, “era informato già dal 6 dicembre 2019 della presenza di almeno un caso, la bambina trasferita al Gaslini di Genova”. Gli ispettori sentenziano: “L’organizzazione complessiva dell’Ospedale e i meccanismi d funzionamento sono compiti non delegabili della Direzione Generale”.

L’elenco delle “criticità” continua. Nessuna comunicazione da Verona all’Unità di rischio clinico ospedaliero dell’Azienda Zero, dal gennaio 2019 al giugno 2020, delle “numerose segnalazioni di microrganismi sentinella”, nonostante i casi di cinque neonati infetti “chiaramente indicativi di un cluster epidemico”. Si rilevano, poi, “i livelli insufficienti di consumo di gel idroalcolico per l’igiene delle mani del personale”, notizie incomplete sui corsi di formazione d’igiene per il personale e la mancanza di chiarezza nelle “procedure di vestizione e svestizione dei visitatori” delle terapie intensive per neonati e bambini.

Le linee indicate dagli ispettori, dimostrano ciò che non è stato fatto. “Procedere a una rapida revisione e riorganizzazione delle unità operative coinvolte nella prevenzione e gestione delle infezioni”. Varare protocolli specifici. Rivedere l’addestramento del personale e “la comunicazione con i genitori dei bimbi ricoverati, anche attraverso un manuale d’uso”. Infine, serve un piano di manutenzione periodica ordinaria della rete idrica, dove si possono annidare i batteri.

La mamma di Nina non è disposta a lasciare che la vicenda sia dimenticata. “Ho ancora delle carte da giocare, non si illudano di farla franca. Ce ne sarà a sufficienza perché in tanti facciano un bagno di sangue”. E aggiunge: “Si sono coperti tutti, l’uno con l’altro. Le responsabilità vanno ricercate a tutti i livelli, perché ognuno ha la sua parte di responsabilità” è il commento di Francesca Frezza. “Ma a noi non bastano i riconoscimenti delle autorità amministrative e nemmeno i risarcimenti civili. È importante arrivare alle responsabilità penali, che ci sono tutte, da parte dell’équipe medica e della struttura sanitaria. Per questo ho grande fiducia nel lavoro della Procura di Verona, anche se non ci sono ancora indagati”.

Foto di archivio

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