Francesca Frezza, la mamma di Nina, uno dei quattro bambini morti per infezione da Citrobacter all’ospedale Borgo Trento di Verona, lo aveva denunciato al fattoquotidiano.it: “I procedimenti disciplinari dovrebbero riguardare anche la Microbiologia che effettuò i tamponi. Ha segnalato i casi? A chi sono arrivati quei dati? Perché la direzione sanitaria non ne sapeva nulla?”. Adesso, dopo le tre sospensioni cautelari di medici decise una decina di giorni fa, il commissario dell’Azienda ospedaliera integrata, Francesco Cobello, ha aperto un procedimento disciplinare a carico della dottoressa Giuliana Lo Cascio, primario facente funzioni dell’Unità Operativa di Microbiologia e Virologia dell’azienda.

Le ha inviato una lettera, chiedendole di chiarire perché i dati preoccupanti, frutto delle analisi di laboratorio, con l’individuazione del citrobacter su numerosi neonati, non siano stati segnalati. E anche perché da febbraio siano stati sospesi gli accertamenti, prima ancora del manifestarsi della pandemia da Covid.

La contestazione fa seguito alle tre precedenti sospensioni che hanno riguardato il direttore sanitario Chiara Bovo, il direttore ospedaliero Giovanna Ghirlanda e il primario della pediatria, Paolo Biban. Quindi la dottoressa Lo Cascio non è stata sospesa dal lavoro, deve soltanto fornire spiegazioni. Ma, se non saranno convincenti, rischia anche lei ulteriori provvedimenti. Il laboratorio, infatti, aveva evidenziato molti casi di Citrobacter, almeno un centinaio, su alcune migliaia di tamponi effettuati. La direzione dell’Azienda ospedaliera, al contrario, sostiene di esserne venuta a conoscenza solo lo scorso maggio (quando i bambini colpiti in reparto erano una dozzina). La Commissione aziendale di rischio ne aveva trattato a dicembre 2019, relativamente al caso di Nina (dopo l’intervista alla mamma, apparsa sul quotidiano “L’Arena”) e solo a gennaio si era acceso un faro su altri casi.

Secondo la Commissione regionale, in Terapia Intensiva neonatale e pediatrica sono stati effettuati dall’aprile 2017 in poi 3.133 tamponi. “Di questi 2.216 sono stati eseguiti per la sorveglianza del Citrobacter Koseri che, a partire dallo scorso gennaio, è stato isolato in 413 tamponi corrispondenti al 28,4 per cento di quelli positivi”. Nonostante i quattro decessi, 9 gravi encefalopatie e 98 neonati contagiati da Citrobacter, non vi sono state segnalazioni di un fenomeno che, secondo gli ispettori, ha avuto “una iniziale sottostima e il riconoscimento tardivo del problema da parte dei medici della Terapia intensiva neonatale, con conseguente scarso coinvolgimento del Comitato Infezioni Ospedaliere almeno fino al 1° trimestre del 2020”.

Eppure, “i tamponi analizzati evidenziano un aumento dei soggetti colpiti con il passaggio dallo 0,5 per cento del totale nel 2018 all’8,2 per cento dei primi sette mesi del 2020… coinvolgendo in totale 91 neonati. Da aprile 2017 a luglio 2020 i casi sono correlati temporalmente e avvengono principalmente nella Terapia Intensiva neonatale e pediatrica”, tanto da poter essere definiti come un’epidemia. Il primo caso risale al 2018, mentre “nel corso del 2019 non sono state effettuate segnalazioni che abbiano permesso l’identificazione del problema, tanto che nelle periodiche riunioni del Comitato Infezioni Ospedaliere tale tematica non è mai emersa nonostante i 3 casi manifestatisi nell’ospedale donna bambino (aprile, agosto e ottobre)”. Solo dal gennaio 2020 si è cominciato a capire la gravità di quanto era avvenuto, fino alla decisione presa a giugno di chiudere i reparti.

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