di Stella Saccà

Che strano il clima di questi giorni. È diverso, lo senti sulla pelle, un po’ come quando non sei più abituato all’umidità romana e passeggi a Villa Pamphili alle sei di sera, a novembre.

Sembra tutto sospeso.

I numeri dei contagi salgono, i giorni al voto diminuiscono. Formicai di gente in mascherina distanziata sei piedi con uno sfondo di fantasmi, cadaveri e zucche che ridono diaboliche si notano più o meno in tutti i quartieri. E fanno bene le zucche a ridere di noi. Un clima strano, sospeso, talmente tanto che ha spinto i due muratori in pausa pranzo sotto casa mia a ordinare alla bottega una centrifuga “power green” invece della solita birra Medalla.

In questi giorni si sta così, come d’autunno sugli alberi le foglie, sospesi, pronti a cadere. Sparati dal Covid? O dalle elezioni? I democratici hanno paura a crederci, visto come è andata nel 2016. Sembrano quei tifosi di calcio che sugli spalti dello stadio, quando il loro attaccante entra in aria di rigore, sollevano il sedere dal seggiolino scomodo e serrano le labbra strette strette per non farsi scappare un “Goal” gridato prima del tempo. Non sia mai che quel pallone voli alto sopra la traversa o becchi quel maledetto palo, che è anche peggio.

I repubblicani trumpiani sfilano sui carri rossi di bandiere, non di sangue finto di Halloween. Che poi, fa differenza? La paura ha un po’ sempre la stessa puzza, in fondo.

Poi ci sono loro, i repubblicani non trumpiani, quelli che vanno a votare spinti da un morso di coscienza sociale. Secondo me sono quelli che votano e non si prendono manco l’adesivo I Voted. Mi ricordano gli italiani anziani che entrano nelle scuole in piena estate, a testa bassa, che alzano lo sguardo dal loro certificato elettorale solo per cercare il numero che decreterà in quale aula andranno a tapparsi il naso e mettere la loro croce.

E poi ci siamo noi, il pubblico coinvolto. Che facciamo differenza dal resto del pubblico, un po’ come quando guardi uno show dallo studio televisivo e quando invece lo guardi da casa. Noi siamo quelli che non possono votare, quelli per cui la vittoria dell’uno o dell’altro però fa la differenza, la fa fisicamente. La fa direttamente. Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie, alberi già spogli però. Tutto intorno è decay – decadenza. Gruppi Whatsapp diventati necrologi e annunciazione di vip positivi al Covid. Dirette Instagram di politici, anche loro mascherati, seguite per lo più da studenti che tifano per la chiusura delle scuole. Mi ricordano quei miei compagni di classe che alle otto e venticinque ‘se ne uscivano’ sempre con “ma ‘na passeggiata a Villa?”, ma poi li vedevi entrare, come un formicaio distanziato sei piedi, e sedersi ai banchi (non distanziati) alle otto e trentuno.

E in effetti si sta come d’autunno sugli alberi le foglie ma anche come quei compagni di classe che alla fine entravano e seguivano il dovere per inerzia.

I numeri dei contagi aumentano, i giorni al voto diminuiscono, e allora percepisci che il cerchio si stringe. Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie, soprattutto quando sei un soldato che invece di combattere, resta affacciato alla finestra.

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