I mini lockdown sono un’opzione prevista. Anzi, “quasi un automatismo”. Di fronte all’aumento dei contagi e al tracciamento che salta, diventano una possibilità concrete per intervenire “quando la situazione sfugge di mano in una determinata area”. Il direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, spiega perché la possibilità di una nuova chiusura totale in alcune città del Paese sia “un’opzione da prendere in considerazione”. Una modalità di contenimento già sperimentata con successo: “Abbiamo avuto zone rosse dai tempi di Codogno: quello era, per esempio, un lockdown geograficamente limitato”. Per Walter Ricciardi, consigliere del ministero della Salute, il lockdown è perfino “necessario a Milano e Napoli“, dove il “virus circola tantissimo”. Per ora il governatore Fontana non ne vuole sapere, ma intanto dalla Lombardia arriva l’allarme dei pronto soccorso: “Il sistema è vicino al collasso“. Campanelli d’allarme a cui si aggiungono i timori per i reparti di rianimazione, visto che i posti letto ci sono ma mancano ancora 4mila medici per le terapia intensive. Se le misure decise dal governo con l’ultimo Dpcm servono a evitare un lockdown nazionale, la possibilità di chiusure limitate viene indicata anche come una soluzione là dove il contact tracing è definitivamente in tilt. Uno strumento in più che fa parte della “cassetta degli attrezzi per convivere con l’epidemia, far funzionare la società e garantire l’assistenza”, ha spiegato il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), Silvio Brusaferro. “Abbiamo fatto un dpcm che li rende possibili”, ha ricordato il premier Giuseppe Conte.

Le parole di Ricciardi – “A Milano e Napoli uno può prendere il Covid entrando al bar, al ristorante, prendendo l’autobus. Stare a contatto stretto con un positivo è facilissimo perché il virus circola tantissimo. In queste aree il lockdown è necessario, in altre aree del Paese no”. Sono diventate un caso le parole pronunciate dal consigliere del ministero della Salute, Walter Ricciardi, sull’urgenza di varare in Lombardia e Campania misure ancora più stringenti rispetto all’ultimo dpcm del governo. Già nei giorni scorsi Ricciardi aveva definito “non sufficiente” la linea di Palazzo Chigi. Il motivo, spiega, è che “ci sono delle aree del Paese dove la trasmissione è esponenziale e le ultime restrizioni adottate, che possono essere efficaci nel resto del territorio, in quelle zone non bastano a fermare il contagio“. Il membro dell’Oms replica anche alle critiche di Matteo Renzi per lo stop a cinema e teatri, spiegando che “se sei a Milano è un luogo dove te lo puoi prendere anche al cinema. In altre città la situazione non è la stessa. A Milano e Napoli è impensabile qualsiasi attività che prevede l’avvicinarsi di persone negli spazi chiusi”. Ci troviamo, ha aggiunto, in presenza “di migliaia di soggetti asintomatici che tornano a casa, dove non si indossa la mascherina, ci si bacia e ci si abbraccia”.

La risposta di Fontana – Un’ipotesi che però il governatore della Lombardia Attilio Fontana respinge categoricamente: “Escludo che ci siano le condizioni per prevedere ipotesi di questo genere, anzi, tutti i nostri interventi vanno nella direzione di evitare ogni tipo di lockdown“, ha dichiarato in vista di un nuovo incontro con i sindaci dei capoluoghi di provincia e i capigruppo di maggioranza e opposizione che si terrà nel pomeriggio per un aggiornamento sulla situazione epidemiologica in Regione. Le ultime limitazioni regionali anti-Covid saranno “ribadite” in una nuova ordinanza attesa in giornata, necessaria per allineare a livello tecnico quella attualmente in vigore con il nuovo Dpcm.

I Ps lombardi: “Situazione drammatica” – Resta il fatto che i numeri dei contagi descrivono una corsa del virus che in entrambe le metropoli non accenna a rallentare. Lo sa bene Guido Bertolini, responsabile del Coordinamento Covid-19 per i reparti dei pronto soccorso lombardi, secondo cui bisogna spingersi anche oltre. “L’unica cosa che si può fare è chiudere tutto, un lockdown a livello nazionale. La situazione nei pronto soccorso è drammatica, non solo in Lombardia, ma ovunque a livello nazionale“. Il sistema assistenziale, continua Bertolini, “soprattutto in alcune aree della Lombardia è vicino al collasso. I modelli matematici più accreditati prevedono una crescita degli infetti esplosiva in poco tempo. Solo gli interventi preventivi potranno ridurre l’impatto sulla mortalità della popolazione“. Alcuni dei pazienti che arrivano in pronto soccorso, infatti, “hanno urgente bisogno di ossigeno per respirare e talora di presidi ventilatori. Ma in molti casi non trovano possibilità di ricovero immediato per l’assenza di letti disponibili e restano per 24-48-72 ore (ma a volte ancor di più) nell’area del Pronto Soccorso in attesa di una destinazione“. E accanto a questi malati, “molto più che a marzo e aprile – sottolinea Bertolini – vi sono malati non-Covid, critici e non. Il risultato è avere dei Pronto Soccorso in estrema sofferenza con aree sovraffollate, senza il necessario distanziamento“. Un problema riscontrato anche al Policlinico Gemelli Irccs di Roma. Il direttore della Pneumologia Luca Richeldi sostiene che “questo intasamento dei pronto soccorso è molto rischioso perché, non solo le altre malattie non sono andate in ferie, ma ci avviamo verso l’inverno, stagione in cui tutte altre malattie respiratorie fanno sentire i loro effetti”.

I medici ospedalieri: “Mancano 4mila medici” – E l’allarme dai pronto soccorso arriva anche ai reparti di rianimazione. “Il Dl rilancio ha previsto un incremento di 3500 posti letto in terapia intensiva e 4225 in sub-intensiva ma non ci sono specialisti a sufficienza per questi numeri: mancano ben 4mila medici, ossia 2mila rianimatori e altri 2mila tra infettivologi, pneumologi, internisti. Oltre a 7mila infermieri”, avverte il principale sindacato italiano dei medici ospedalieri, Anaao Assomed. Il segretario nazionale Carlo Palermo spiega: “I posti in intensiva non funzionano da soli, sono strutture ad elevata intensità professionale e richiedono personale altamente qualificato. Senza medici e infermieri la crescita dei numeri resta sulla carta“. Un pericolo che aveva evidenziato anche Alessandro Vergallo, presidente del sindacato degli anestesisti rianimatori Aaroi-Emac, parlando a ilfattoquotidiano.it: “Negli anni scorsi sono state adottate politiche di reclutamento del personale sanitario e di formazione specialistica completamente miopi. Nel pubblico ci sono 12mila specialisti, 18mila totali. Ne mancano 4mila per coprire il fabbisogno ordinario”.

Gli esperti a favore dei lockdown mirati – Dagli esperti si moltiplicano quindi gli appelli ad intervenire laddove possibile, superando le regole imposte dal provvedimento varato da Palazzo Chigi. Se Fontana esclude nuove chiusure a Milano, il direttore della clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova Matteo Bassetti si allinea alla tesi di Ricciardi e chiede di fare presto: “Un lockdown, o aree di limitata circolazione, dove c’è una elevata circolazione del virus è la soluzione che con il precedente Dpcm si era detto di fare, e mi pare che sia una scelta giusta. Il problema è che, se questi lockdown devono essere fatti, che si facciano subito e non si continui ad aspettare. Ci sono città dove la circolazione del virus è alta e si deve agire in modo urgente“, ha commentato all’Adnkronos Salute. Più cauta la posizione del virologo dell’università degli Studi di Milano Fabrizio Pregliasco, secondo cui bisogna aspettare “almeno 15-20 giorni per valutare gli effetti” dell’ultimo dpcm. Se “è vero che esiste un tema ‘grandi città e Covid’, è anche vero che il Dpcm ha fatto il possibile in questo contesto, bilanciando il più possibile le esigenze della salute e quelle dell’economia”. Poi cita uno studio pubblicato su Lancet: “Ci dice che i primi effetti delle misure non farmacologiche si apprezzano già 8 giorni dopo l’introduzione – afferma Pregliasco – dunque aspettiamone almeno 15 per valutare gli effetti del Dpcm. Certo, un lockdown a Milano e Napoli era possibile, ma si è deciso di intervenire bilanciando salute ed economia”.

Zangrillo critica Ricciardi – A tuonare contro l’ipotesi di un blocco totale di Napoli e Milano è invece Alberto Zangrillo, primario dell’ospedale San Raffaele di Milano. “Io penso e spero” che la dichiarazione di Ricciardi sul lockdown a Milano e Napoli “sia decontestualizzata, rendendola surreale“, ha dichiarato a L’aria che tira su La7. “Se fosse vero, l’unico modo che ho di commentare è quello di implorare il presidente del Consiglio dei ministri”, Giuseppe Conte, “di parlare lui a nome di tutti. Perché chiudere Milano e Napoli è qualcosa di estremamente importante e significativo e penso che debba essere preannunciato e fatto dal capo del governo”. Poi attacca: “Il professor Ricciardi avrà degli elementi che lo portano a dire coscientemente e con senso di responsabilità quanto ha detto. Se così non fosse è un problema suo e degli organismi preposti, il Cts e il governo stesso. Io continuo a cercare di farvi capire quello che noto quotidianamente. Non dico che sono tranquillo, però sono e devo essere responsabile”, sottolinea Zangrillo. “Se noi pensiamo che la soluzione sia quella di chiudere tutti in casa, è probabilmente corretta se è stato detto, però dobbiamo anche capire quali sono le conseguenze a cui ci esponiamo se chiudiamo tutti in casa”.

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