La scuola italiana ha una malattia: le cattedre vuote, l’organico che manca a settembre quando si torna in aula. Non si tratta di un virus dell’ultim’ora ma di un malanno cronico che il Paese si trascina da anni insieme a quello sugli scarsi investimenti nell’istruzione. All’inizio dell’anno scolastico non sono mancate le critiche, come è giusto, ma anche in molti casi le descrizioni di catastrofi mai viste sulla partita dei docenti.

Se si guardano i dati degli ultimi 4-5 anni scopriamo che i numeri del 2020 sono in linea a quelli di sempre. Non è una buona notizia, ma non è nemmeno un allarme inedito. Secondo la fotografia del ministero dell’Istruzione le cattedre assegnate ai supplenti quest’anno non supereranno le 140mila unità. Sessantamila in più, invece, secondo le organizzazioni sindacali che contano tra i precari anche il contingente Covid (circa 70 mila tra docenti e Ata) che arriverà nei prossimi giorni. E l’anno scorso? La Cisl conferma a ilfattoquotidiano.it che i supplenti erano 187mila mentre l’anno prima ancora 155 mila.

Tutti gli anni, insomma, la stessa storia: i docenti in cattedra alla prima campanella non sono mai abbastanza. Da tempo non si trovano, soprattutto da Roma in su, professori di matematica e in genere delle materie tecnico scientifiche. E il sostegno? I prof specializzati mancano da anni. Ad ogni stagione scolastica si fa ricorso alle deroghe ovvero docenti di posto comune che non hanno la specializzazione e occupano cattedre di sostegno.

Per comprendere questa onda lunga del fenomeno cattedre abbiamo consultato i focus di inizio anno scolastico pubblicati regolarmente, alla riapertura delle scuole, dal nostro sito.

Il 14 settembre del 2015 ilfattoquotidiano.it titolava: “Scuola, il primo anno della riforma di Renzi inizia a metà. Presidi, sostegno, organico: ecco tutte le incognite”. Correva il periodo della cosiddetta “Buona Scuola”. Al ministero di viale Trastevere sedeva Stefania Giannini che veniva da “Scelta Civica” per poi passare con il Partito Democratico. La situazione descritta nell’articolo era in chiaroscuro: “I nuovi docenti in cattedra a settembre saranno solo la metà, sul totale dei posti creati dalla riforma. Non è una sorpresa, il Ministero lo aveva chiarito fin da subito: le difficoltà nell’approvazione in Parlamento del ddl hanno reso impossibile effettuare subito tutte le assunzioni. Per il momento le immissioni in ruolo sono state “solo” 38mila sui posti vacanti e disponibili. Gli altri 55mila prof, a cui toccherà il potenziamento, arriveranno solo ad autunno inoltrato. E i supplenti già nominati sono solo a termine, in attesa che arrivino le nuove graduatorie d’istituto e gli “aventi diritto al ruolo”.

Un anno dopo Stefania Giannini è ancora al ministero dell’Istruzione. Ha avuto il tempo per cambiare, per modificare le modalità di ripresa dell’anno scolastico ma la situazione non sembra essersi modificata. Il 12 settembre del 2016 il nostro giornale scriveva: “Anno scolastico, falsa partenza. Classi accorpate e orari ridotti per i buchi lasciati da mobilità e concorso in ritardo”. Si parla ancora una volta di “corsa contro il tempo per le assunzioni”. Nell’articolo firmato da Lorenzo Vendemiale si spiegava: “Immissioni in ruolo in fase di svolgimento, nomina frettolosa dei docenti, incognite negli organici e buchi ancora da scoprire che dovranno essere messi a supplenza fra una settimana: per tutti questi problemi oggi in Italia la scuola inizia solo sul calendario”. Insomma, anche nel 2016 non era cambiato nulla: l’anno scolastico iniziava senza prof e maestri in molte scuole.

Nel 2017 arriva Valeria Fedeli, l’ex sindacalista della Cgil chiamata a ricucire i rapporti difficili (anche allora) con il sindacato a causa dei contrasti con la Giannini. La nuova ministra apre la tregua con il sindacato che parla di “piccoli passi avanti” ma alla ripresa delle lezioni la musica è sempre la stessa. Ecco, di nuovo, il titolo de ilfattoquotidiano.it del 12 settembre 2017: “Anno scolastico al via: meno cattedre vuote, ma la supplentite non è curata e la chiamata diretta è fallimento conclamato”. Il dato di partenza è sempre negativo: “Anche quest’anno – scrivevamo – il Miur finirà per avvicinarsi molto alla solita quota delle 100mila supplenze, tra posti di sostegno, una fetta fissa dovuta a distacchi, comandi e affini, più le ultime assunzioni mancate”.

Un anno dopo la Fedeli non c’è più. Al Governo arrivano i “giallo-verdi” e la Lega impone una sua pedina a viale Trastevere: è Marco Bussetti, un tecnico, un uomo che conosce la macchina amministrativa visto che è stato provveditore a Milano. Si spera che almeno lui che ha vissuto sulla propria pelle da sempre il problema degli organici possa fare qualcosa ma la delusione arriva presto. Nel primo anno dell’era Bussetti, il 29 agosto 2018, la situazione è già chiara: “Scuola al via ma nel caos: cattedre senza prof e tanti precari. E a pagare sono soprattutto le famiglie dei disabili”. I sindacati si scatenano contro Bussetti. Ancora una volta la tensione sale. I supplenti anche quell’anno sono 140mila circa.

E arriviamo al 2019. Stavolta a guidare la scuola italiana c’è un pentastellato, Lorenzo Fioramonti. Il suo mandato dura davvero poco: dal 5 settembre 2019 al 25 dicembre del medesimo anno. Poi si dimette perché non vengono assegnati tre miliardi all’istruzione. Cinque giorni dopo uscirà anche dal movimento grillino. Ma anche quell’anno il quadro non cambia. Il titolo del Fatto Quotidiano.it dell’11 settembre 2019: “Anno scolastico al via, oltre 120mila cattedre scoperte. I sindacati: “Carenze di graduatorie e di candidati”. Basta un dato per capire: una cattedra su sette è affidata a un precario e nel sostegno è una su tre.

Cinque anni, cinque ministri. Ma a settembre gli studenti italiani tornano sempre a scuola senza il giusto numero di docenti. Il sindacato ogni anno mostra i muscoli. Le famiglie dei disabili, giustamente, reclamano un docente specializzato. I presidi devono dividersi su più istituti. I bidelli arrivano con il contagocce. Questo per dire che purtroppo, al netto delle incertezze ulteriori dovute all’emergenza Covid, sul piano dell’organico le mancanze del sistema-scuola non sono imputabili solo alla ministra Lucia Azzolina.

Una situazione che si accompagna, da sempre, al problema degli investimenti sulla scuola. Secondo i dati Euorostat, l’Italia dal 2001 al 2018 (ultimo dato disponibile) ha speso non più del 4,5% del Prodotto interno lordo in istruzione sotto la Francia, l’Irlanda, l’Estonia, la Lituania, Cipro e tanti altri. Anzi nel 2017 e nel 2018 la cifra è crollata in entrambi gli anni al 3,9%. Tendono a spendere di più i Paesi con una demografia forte. L’Italia lascia che il calo di popolazione detti la regola e non investe sui pochi ragazzi che abbiamo. Difficile prevedere quale sarà la cifra in percentuale di investimento del Pil sull’istruzione da parte di questo Governo.

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Scuola, l’alternativa all’ora di religione è ancora una chimera

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