Cinema

Mostra del Cinema di Venezia 2020, Paolo Conte, via con me: documentario che è gioia per l’anima ma anche occasione mancata per la storia

Al centro un’intervista recentissima ed esclusiva all'artista astigiano nel suo studio casalingo e tutt’attorno le testimonianze blasonate da Benigni a Luca Zingaretti a supportare la tesi del grande valore del nostro

di Davide Turrini

“C’è un po’ di vento, abbaia la campagna”. Paolo Conte, il genio. Ironico, romantico, capace di fulminarti con tre, quattro parole e gettarti dentro “un atlante immaginario dell’anima”. Dell’avvocato astigiano s’è forse speso troppo poco entusiasmo nel raccontarlo all’interno della stupefacente vita della musica italiana. Schivo e riservato lui, quasi intimoriti i profani ad avvicinarsi al maestro anche solo per chiedere di quelle “perline colorate” che sono dono d’amore in Gelato al limon e che ci stanno in testa da almeno trent’anni dal primo ascolto. Paolo Conte, via con me di Giorgio Verdelli, documentario Fuori Concorso in chiusura di Venezia 77, è un po’ gioia per l’anima e un po’ occasione mancata per la storia. Al centro un’intervista recentissima ed esclusiva a Conte nel suo studio casalingo e tutt’attorno le testimonianze blasonate (Benigni, Avati, Capossela, De Gregori, Luca Zingaretti e Luisa Ranieri – aiuto!-) a supportare la tesi del grande valore del nostro, infine un ulteriore architrave musicale con i live del maestro mixati in un curioso passaggio di consegne in montaggio con l’esecuzione dello stesso brano in due-tre concerti differenti nel tempo

. Tanto materiale assemblato, cronologicamente spettacolo d’“arte varia”, aneddoti più o meno conosciuti, e Conte che con “quella faccia un po’ così” mescola Settimana Enigmistica, smorfie e zazzarazaz. Certo, se Benigni sembra aver scritto e preparato il suo intervento fronte macchina recitandolo pomposamente come a teatro, Avati sciorina il suo solito marchio di fabbrica – “invidia per” – perché Conte era troppo bravo a fare jazz, mentre De Gregori appare stranamente solare e illuminato nel ricordo di quel Gelato al limon cantato con Lucio Dalla in Banana Republic e dell’incontro, tipo sfida all’O.K.Corral, con Conte in una strada di Roma dopo l’eretica esecuzione (per la cronaca: le versioni dell’incontro romano sono leggermente diverse tra i due).

Tira un testimone di qua, tira un testimone di là, comunque la grandiosità extraterritoriale di Conte emerge con un fascino e una costanza brumosa, autunnale, “voce buffa e cuore straziato” (Isabella Rossellini, nel doc), soprattutto in quella Francia parigina che consacrò i grandi mondiali. Fu tra l’altro Pierre Desproges, un grandissimo e popolare umorista francese che all’inizio degli anni ottanta usò un brano di Conte, Come di, come sigla di uno suo seguitissimo programma radiofonico, e fece fare il salto al musicista italiano in tutta la Francia. Affermazione che Jane Birkin riassume con un sensualissimo trasporto: “Paolo esprime intelligenza”. Insomma, Paolo Conte, via con me è un semplificato prodotto edibile per fan e semi fan, senza voler ricamare il documentario artistico, ma rimanendo nell’orbita paratelevisiva, con alcuni svolazzi imbarazzanti (la Topolino Amaranto che gira per Asti nei giorni nostri è una roba che fa paura). Ai ritratti entusiasti e sinceri sui grandi della musica italiana creati da Verdelli siamo comunque abituati. Occhio non vede, cuore non duole. Viva Paolo Conte. Producono Nexo Digital, la Indigo di Nicola Giuliano e Rai Cinema. Nei cinema lunedì 28 settembre.

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