di Cristian Pagliariccio

In questo periodo di preoccupazione sanitaria, i docenti segnalano un problema: vedono minacciato il loro bisogno umano e primario di sicurezza. Svolgendo un lavoro relazionale e non meccanico, tale problema incide sulla loro capacità di contribuire al benessere della comunità.

Al di fuori della scuola, molti hanno provato a indicare soluzioni, anche in modo aggressivo, appellandosi alla necessità di far fare sacrifici ai docenti, mediante obblighi, per rispondere a un bisogno che tutti viviamo. Va ricordato, però, che fare sacrifici non significa produrre vittime sacrificali, per poi piangerle. Per questo, è meglio accrescere le nostre capacità di inclusione, anziché fare pressioni su chi segnala un bisogno importante.

L’inclusione, infatti, richiede di abbattere barriere (anche sociali) e creare facilitatori per consentire a tutti il miglior funzionamento possibile, lo svolgimento di attività e la partecipazione all’interno della società. Considerare l’idea di realizzare un contesto sociale inclusivo per tutti è il minimo che possiamo fare come società, perché la popolazione diventa sempre più anziana e fragile.

Il bisogno dei docenti, in fondo, è quello di tutti coloro che chiedono un aiuto per superare questo periodo, o per superare periodi di fragilità in generale. Il bisogno dei docenti è anche e soprattutto il bisogno di studenti e studentesse che riprenderanno le lezioni, perché dobbiamo aspettarci che per loro la necessità di inclusione aumenti, dopo tutto quello che abbiamo passato. Se i docenti (e il personale scolastico tutto) non riusciranno a prendersi cura di loro stessi, sarà difficile pensare che potranno essere sensibili verso i bisogni di studenti e studentesse.

Il lavoro da realizzare è complesso ma non impossibile. Nella pratica, il discorso è simile alla riprogettazione di un edificio inadeguato e dell’ambiente che lo circonda. Ad esempio, si pensi alla rivoluzione dell’avere il bagno in casa, anziché fuori. Con coraggio, si deve rompere un vecchio modello e ristrutturare. Andare avanti con rattoppi, come usare secchi da vuotare fuori, non sosterrebbe lo sviluppo del benessere.

Come per le strutture fisiche, in questo periodo storico abbiamo bisogno di profonde ristrutturazioni sociali. Stanno arrivando fondi e sarebbe utile non sprecarli per dare a tutti il proprio secchio da usare in casa, in assenza di una rete fognaria. Nell’inclusione, dunque, è l’intera comunità scolastica che si trasforma e progetta per il bene di tutti, partendo dai più fragili. Tutti sono tutti, inclusi i docenti.

Per realizzare il più velocemente possibile una riprogettazione, credo che psicologi e psicologhe con esperienza nei contesti scolastici sappiano dare una valida mano, anche per realizzare monitoraggi sui bisogni di accoglienza, per supportare le decisioni strategiche. Fortunatamente, il lavoro sull’inclusione è già iniziato. È già stato fatto molto.

La scuola italiana, infatti, è stata sempre sensibile al tema dell’inclusione, anche se negli anni ha faticato a riprogettare le sue pratiche. Tuttavia, per la riprogettazione, nel 2018 il Miur (oggi Ministero dell’Istruzione) aveva pubblicato un documento tecnico che mai come ora ha senso: L’autonomia scolastica per il successo formativo.

Il documento si focalizzava sulle progettazioni universali per l’apprendimento che, partendo dai bisogni delle persone più fragili, coinvolgono tutti. Se volessimo, dunque, disponiamo già di un orientamento per la riprogettazione della didattica. Uno dei problemi più grandi per l’applicazione della progettazione universale per l’apprendimento era la mancanza di competenze informatiche dei docenti.

Poiché lo scorso anno ci ha aiutato a superare anche questo problema, si può iniziare velocemente a fare in modo che nessuno venga messo da parte, come si fa con gli oggetti, né ignorato per i suoi legittimi bisogni. L’adozione di tali pratiche porterebbe un beneficio ulteriore per i docenti, considerando che uno degli aspetti più stressanti per loro è il lavoro continuo su una didattica pensata per studenti medi, inesistenti, da riadattare per i vari studenti con bisogni educativi speciali.

L’inclusione dei docenti è dunque l’inclusione di tutti. È una questione che riguarda tutti, ora, per evitare che, passata l’emergenza, ognuno si ritrovi peggio di prima, con maggiore rabbia, astio e sofferenza. Purtroppo, la crisi del Covid-19 non ci ha ancora resi emotivamente migliori.

*Psicologo

Articolo Precedente

Università, Manfredi: “Io fantasma? Salvini male informato. Atenei al lavoro su esami in presenza”

next
Articolo Successivo

Scuola, parola ai genitori: “Siamo arrabbiati, le problematiche sono troppe. Si poteva e si doveva lavorare con anticipo”

next