di Carlo Fusco

L’emergenza coronavirus impone a tutti noi un periodo di semi-isolamento. Come nel caso della crisi climatica siamo convinti dell’importanza di ascoltare le indicazioni che arrivano dal mondo scientifico, ma siamo anche coscienti di quanto difficile sia restare giorni e giorni chiusi in casa.

Per questo da oggi e per il mese a venire noi di Fridays For Future Italia aggiorneremo con cadenza settimanale – la massima concessa dalla piattaforma – il nostro blog sul FattoQuotidiano.it, e a breve sarà disponibile sul nostro sito una sezione dedicata a libri, film, serie a tema clima da scoprire durante la quarantena. E’ un piccolo gesto, lo sappiamo, ma speriamo possa aiutare a farci superare tutti assieme questa situazione!

Pioggia. Cade fitta sulle nostre città, trappole d’acqua. Non è la terra ad accoglierla, ma una giungla di cemento su cui scivola e scorre, senza mai trovare riposo. Le arterie popolate di metallo pulsano sotto il peso liquido, in un complesso di motori fumanti. Il cuore cittadino e la sua storia piangono, le gocce solcano pietre edificate da centinaia di anni. Prende forma una penisola di città galleggianti, si avvertono i primi disagi di uno scheletro urbano impreparato alle emergenze. Le strade diventano torrenti, l’acqua arriva alle ginocchia, al busto e poi al collo: inizia il conto delle vittime.

L’Italia, nel decennio scorso, è stata il sesto paese al mondo per morti da eventi meteorologici estremi, un’ecatombe di quasi 20.000 persone scomparse nel caos climatico: 32,92 miliardi di dollari la cifra quantificata in termini di perdite economiche, 18esimo il posto in classifica per numero di perdite pro capite, a ricordarci che tutto ciò causerà la prossima devastante crisi finanziaria.

La causa è una sola: il cambiamento climatico (i cui effetti sono anche amplificati dal dissesto idrogeologico e dagli abusi edilizi che in Italia giocano un ruolo tristemente importante).

Il 2019 è stato il quarto anno più caldo nel nostro paese dal 1800 a oggi, con un’anomalia di +0,96°C sopra la media. Il 2020 si apre con cifre da record: il 3 febbraio a Torino, in pieno inverno, le temperature hanno sfiorato i 27°C. Tutto ciò ha forti ripercussioni sulla nostra economia, con la crisi del settore agricolo, rimasto orfano di un quarto di terra coltivata, e di conseguenza alimentare, del turismo e della produzione energetica. Ma di fronte all’evidente situazione di emergenza, come ha agito e come intende agire la politica?

Le azioni sono sempre state insufficienti e lo sono tuttora, nonostante il tema sia stato portato all’attenzione pubblica, diventando tra le prime preoccupazioni degli italiani. L’approvazione definitiva del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec), avvenuta alla fine di gennaio, ne è la prova.

Si tratta di un documento che dovrebbe offrire la nostra visione di uno sviluppo economico e sociale sostenibile, considerando l’emergenza climatica in atto, quando di fatto non è altro che un piano anacronistico e di certo poco coraggioso, che non prospetta orizzonti differenti da quelli attuali.

L’Italia infatti rimarrebbe ancorata alle fonti fossili, con una dipendenza dal gas quasi del 70%, e un timido approccio alle rinnovabili, che dovrebbero coprire il 30% per il 2030. Ora, il gas, il metano è un combustibile fossile climalterante, 34 volte più potente dell’anidride carbonica e responsabile per il 20% dei cambiamenti climatici.

Non è di certo una fonte di transizione o di parziale mitigazione rispetto ad altri combustibili fossili e chiunque affermi il contrario nega decisamente ciò che dice la scienza. Per quanto riguarda l’incremento delle fonti rinnovabili ci troviamo ancora una volta di fronte a tiepidi provvedimenti, che non ci portano fuori dal sistema inerziale in cui siamo costretti rispetto a quello della crisi climatica.

Come se non bastasse, nelle scuole italiane arriva il cane a sei zampe. Si tratta di Eni, (ex) Ente Nazionale Idrocarburi (la cui quota statale è pari al 30,1%, per un valore di oltre 16 miliardi di euro) e della viscida operazione organizzata sulle spalle degli studenti di tutto il paese. A settembre la nostra redazione ha prodotto una lettera per l’allora ministro dell’istruzione Lorenzo Fioramonti, in cui veniva richiesto l’insegnamento delle tematiche ambientali nelle scuole.

La proposta è stata accolta, l’Italia dunque sarebbe diventata il primo paese al mondo a rendere obbligatorio lo studio dei cambiamenti climatici. Oggi, dopo le dimissioni di Fioramonti, apprendiamo inorriditi che l’Associazione Nazionale Presidi ha avviato con Eni un programma di incontri nelle scuole per formare gli insegnanti che dovranno parlare alla nostra generazione dell’emergenza climatica. Questa di fatto è causata in parte dalla stessa multinazionale, che investe 7 miliardi di euro all’anno nelle fonti fossili. Come chiedere all’oste se il vino è buono.

Tutto ciò non sembra essere semplicemente un’assoluta assenza di volontà politica ed economica, qui si tratta di andare nella direzione opposta. La politica ci ha deluso su tutti i fronti. Il governo del cambiamento climatico sembra un miraggio lontano e ormai sbiadito.

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