Pene comprese tra i 2 e i 20 anni. La Procura di Palermo ha chiesto la condanna per 56 tra boss, gregari, estorsori e prestanomi dei clan palermitani finiti in manette nell’ambito dell’inchiesta denominata Cupola 2.0 che svelò – nel luglio dell’anno scorso – il tentativo della mafia di ricostituire la commissione provinciale e ricostruì gli organigrammi dei mandamenti di Tommaso Natale, Porta Nuova, Pagliarelli, Misilmeri, Belmonte Mezzagno e Villabate. Il processo si svolge col rito abbreviato davanti al giudice per l’udienza preliminare Rosario Di Gioia. L’accusa in aula era rappresentata dai pm della Direzione Distrettuale Antimafia Amelia Luise, Dario Scaletta e Francesca Mazzocco. Per i collaboratori di giustizia la Procura ha sollecitato la concessione della speciale attenuante prevista dalla legge per il contributo dato alle indagini. Dall’inchiesta emerse il ruolo di vertice di Settimo Mineo, 80 anni, professione ufficiale gioielliere, già condannato al maxiprocesso. Per lui la Procura ha chiesto 20 anni di reclusione.

Sarebbe stato lui, nel corso di un summit con Filippo Bisconti, allora reggente del mandamento mafioso di Misilmeri – Belmonte Mezzagno, ora collaboratore di giustizia, e Gregorio Di Giovanni (anche per lui sono stati chiesti 20 anni), reggente del clan Porta Nuova, a stabilire le nuove regole della mafia palermitana. Per Bisconti i pm hanno sollecitato 5 anni e due mesi in virtù della sua collaborazione con la giustizia. L’indagine raccontò una mafia più interessata che mai agli affari: la droga, antico business per anni lasciato alla ‘ndrangheta, le scommesse online, nuova frontiera del guadagno illecito, le estorsioni. I carabinieri ne accertarono più di 30. Bersagli commercianti e imprenditori, soprattutto edili. In carcere finirono anche due rampolli di clan storici: Calogero Lo Piccolo, figlio del padrino di San Lorenzo Salvatore Lo Piccolo, e Leandro Greco, nipote di Michele Greco il “papa”. Per loro sono stati chiesti rispettivamente 20 e 16 anni di carcere.

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