Il reddito di cittadinanza, così come viene declinato in Italia, sta fallendo uno dei suoi obiettivi? Se si voleva risolvere così il problema della disoccupazione, l’obiettivo è lontano. Secondo Il Sole 24 Ore, a fine novembre del 2019 soltanto 12mila percettori hanno trovato un impiego a termine, che li ha portati a rinunciare all’assegno di cittadinanza.

Se, da settembre 2019, i beneficiari tenuti al Patto per il lavoro che si sono presentati supera i 200mila, il 6% di successo non è un risultato saliente. Aggiungiamoci pure i 3mila “navigatori” che sono stati assunti e un lavoro lo hanno trovato: per ora, la campana della beneamata analisi costi-benefici, un po’ in sordina negli ultimi tempi, non suonerebbe a festa.

Sono curioso di conoscere i primi risultati prodotti dal portentoso software del Mississippi implementato in quello Stato, da sempre uno dei più poveri degli Stati Uniti, con risultati interessanti e qualche polemica. Né si ha ulteriore notizia che sia stato davvero implementato in Italia, dopo i primi annunci.

Conosco la Mississippi State University perché uno dei miei migliori amici – un professore indiano che oggi insegna in uno dei più prestigiosi atenei americani – ebbe lì il suo primo incarico e lo andai a trovare. Non dimenticherò mai quando mi parlò del suo tentativo di unirsi a un corteo del Ku Klux Klan, rischiando il linciaggio sul posto. Secondo il sito ufficiale dell’ateneo, la Msu si classifica al 211esimo posto tra le università degli Stati Uniti, tra il posto 800 e il 1000 nella classifica internazionale del World university rankings, ma non sono riuscito a scovarla nella classifica più nota, quella di Qs Top Universities.

Se il reddito di cittadinanza non ha abolito la povertà, questo sussidio ha certamente contributo a lenire la piaga. Certamente un successo, anche se parziale e forse provvisorio, nel contrasto al pauperismo. Almeno finora, però, rimane uno strano ibrido, lontano dall’archetipo del reddito minimo universale.

A differenza del reddito di cittadinanza, temporaneo e condizionato da vincoli, primo fra tutti l’inserimento nel mondo del lavoro, il reddito minimo universale è una erogazione monetaria, regolarmente distribuita a tutti i cittadini e residenti, cumulabile con altri redditi, indipendente dall’attività lavorativa, dal sesso, dal credo religioso e dalla posizione sociale. Erogato durante tutta la vita del soggetto.

Il reddito di cittadinanza è ancora lontano dall’Universal basic income (Ubi) che oggi reclamano sia magnati come Elon Musk (Tesla) e Richard Branson (Virgin), sia pensatori progressisti come David Greaber, che fu tra i promotori del movimento Occupy Wall Street.

Forme di Ubi hanno una lunga storia alle spalle, a partire dal Sistema Speenhamland, dal nome dal villaggio inglese dove, nel 1795, fu promulgato il Berkshire bread act. Era mirato ad alleviare il pauperismo – fino ad allora irrisolto dalla Poor law, la legislazione a favore dei poveri varata sotto il regno di Elisabetta I (1601) – in una situazione di emergenza, legata alle guerre e alle carestie di quell’epoca.

L’emergenza del nuovo millennio sono i robot, la telematica e l’intelligenza artificiale, che provocheranno un’enorme perdita di posti di lavoro così come li conosciamo oggi. E metteranno in crisi il lavoro stesso come simbolo d’identità personale e l’istruzione come ascensore sociale. Ma, soprattutto, lo potrebbero fare a una velocità talmente elevata da non consentire al sistema di adattarsi senza che si produca una vasta macelleria sociale.

A quali costi l’Ubi potrebbe aiutare ad affrontare questa emergenza? Con l’asticella a mille dollari al mese, gli Usa spenderebbero quasi 4mila miliardi di dollari all’anno, un quinto del Pil. Una quota forse insostenibile, anche se parzialmente bilanciata dal risparmio sulle attuali misure di contrasto alla povertà.

Secondo Chris Hughes — cofondatore di Facebook — la soluzione è un Ubi risicato, 500 dollari al mese per ogni adulto, con le risorse reperite cancellando le esenzioni fiscali per gli ultraricchi: “la gente come me”. Se abolire del tutto la povertà è un’utopia, con un piccolo Ubi la società del benessere potrebbe non scomparire del tutto e consentire alle persone di navigare con meno ansie nel mercato del lavoro. Nonché semplificare la gestione dei sussidi, spesso causa di elevati costi burocratici e, talora, di corruzione. E tramutare il lavoro in una libera scelta.

Per molti detrattori, l’Ubi porterebbe la tassazione a livelli improponibili, creerebbe nuove schiavitù, produrrebbe senso di sconfitta anziché sicurezza di vita, assieme a una carenza intollerabile di addetti a mansioni essenziali in molti campi: insegnamento, sanità, assistenza sociale.

Per altri, l’Ubi è il peccato originale del capitalismo, lo strumento che rende il proletariato irrilevante per il mercato del lavoro, mentre emergono nuovi meccanismi di produzione. In fondo, già Karl Marx aveva identificato il Sistema Speenhamland con il corvo rapace che abbatte i salari dei lavoratori, un fantasma condiviso da chi oggi teme la “glebalizzazione” della società.

La questione del reddito di cittadinanza è cosa seria, che richiede una visione del futuro. Non è un argomento elettorale da santificare o demonizzare durante ogni campagna elettorale. Una leva o una clava – a piacere – da accantonare subito dopo l’apertura delle urne, abbandonando il tema alla sola cura della burocrazia.

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