È stata innalzata la bandiera dell’Imam Hussein, nipote del Profeta, sopra la moschea di Jamkaran nella cittá di Qom in Iran. È il segno che precede ogni grande battaglia: il rosso indica il sangue che verrà versato in guerra come sacrificio e vendetta per la morte del Generale Qassem Soleimani.

È un paese spaccato a metà, l’Iran, in questi giorni dopo l’assassinio di Soleimani avvenuto attraverso un drone americano all’aeroporto di Baghdad nella notte tra il 2 e il 3 gennaio. La figura di Soleimani è sempre stata controversa in Iran. Da un lato era molto ammirato per la sua difesa dell’identità nazionale, dall’altro considerato amico del regime. Non a caso quasi tutti lo indicano in questi giorni come la figura numero due in Iran dopo la Guida Suprema, l’Ayatollah Khamenei. Soleimani da due giorni è divenuto il martire dell’Iran, Shahid Soleimani, e c’è chi giura che la sua figura sarà molto più importante di quando era in vita.

Come già annunciato dai vertici della Repubblica Islamica, la sua morte verrà vendicata. “Preparate le bare per i vostri soldati” è stata infatti una delle prime reazioni dell’Iran verso gli Stati Uniti. Oggi l’Iran piange il guerriero più valoroso: le immagini della tv di stato iraniana mostrano un paese totalmente a lutto. Il nero predomina ovunque. Sorprende come anche chi non sia estremamente religioso e voglia cambiamenti all’interno del paese sia comunque addolorato da questa perdita. Non è tanto la perdita dell’uomo in sé che preoccupa, ma quello che questa morte potrebbe rappresentare. Sono morti oltre 1500 ragazzi e manifestanti nelle scorse settimane durante le proteste per il malcontento in Iran, eppure stranamente oggi piangono anche quelli che in quelle manifestazioni erano presenti.

È un paese confuso, l’Iran, in cui si vuole un cambiamento ma si piange per chi quel cambiamento non lo voleva. C’è però una parte della popolazione che non è assolutamente toccata dal dolore della perdita di Soleimani: molti sono i dissidenti dentro e fuori il paese che esultano per la scelta azzardata di Donald Trump e che si augurano che presto il regime, indebolito forse anche da questa perdita, possa lasciare e cadere. Eppure anche loro dovrebbero ringraziare almeno una volta il generale Soleimani, fosse anche solo per aver fermato l’avanzata dell’Isis, per aver difeso i confini dell’Iran dagli attacchi esterni; ma forse non se ne sono mai neppure accorti.

Oggi inevitabilmente, venendo a mancare questa figura, siamo tutti meno al sicuro. Soleimani proveniva da una famiglia povera contadina della provincia di Kerman, dove verrà sepolto tra qualche giorno. A soli 22 anni Soleimani si era arruolato con le Guardie rivoluzionarie islamiche, nate per proteggere la repubblica degli ayatollah. Gli anni della guerra con l’Iraq, tra il 1980 e il 1988, avevano aiutato ad accrescere la fama di questo soldato, capace di infiltrarsi nelle file nemiche per portare a termine operazioni ad alto rischio, al punto da diventare, negli anni Novanta, il comandante del gruppo d’elite delle Quds Force, la squadra di super agenti impiegata per operazioni segrete all’estero.

La parola che maggiormente si ascolta in questi giorni oltre a preoccupazione è vendetta. “La grande nazione dell’Iran – ha detto Hassan Rouhani – si vendicherà di questo crimine atroce.” Ed è proprio la vendetta a farci paura, perché non abbiamo idea di cosa abbia in mente l’Iran e cosa coinvolga quella vendetta di cui parlano. La bandiera rossa sulla moschea di Jamkaran che avverte di una imminente battaglia è forse uno dei simboli più significativi di tutta questa triste vicenda. I funerali del generale Soleimani potrebbero essere l’evento di massa più seguito dopo quello dell’Ayatollah Khomeini avvenuto nel 1989, al quale parteciparono oltre 3.500.000 iraniani, in cui morirono otto persone e migliaia rimasero ferite per la volontà di toccare la bara e strappare i lembi del sudario.

C’è da chiedersi ora quanto la morte di Soleimani condizionerà la politica interna della Repubblica Islamica. Le proteste delle scorse settimane che hanno visto centinaia di morti hanno ben mostrato al resto del mondo come nel paese ci sia un malcontento popolare. La morte di Soleimani ha in qualche modo ottenuto due risultati importanti: il primo, quello di ricompattare seppur nel dolore conservatori e riformisti verso un nemico comune; il secondo, quello di distogliere l’attenzione dalle proteste e dai tanti giovani morti.

Ma il lutto passerà, la popolazione tornerà alla vita normale, il generale Soleimani è stato già di fatto sostituito dal comandante della Forza Quds dei Pasdaran, Esmail Qaani; si tornerà a una sorta di normalità e una parte della popolazione tornerà a mostrare il proprio dissenso verso un regime che oggi piange un uomo, ma che non ha avuto problemi a ucciderne centinaia che chiedevano solo libertà.

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