Tre versioni differenti e tanti “non ricordo” sul trasferimento del prefetto che dava fastidio ai boss. Testimoni autorevoli chiamati a deporre i giudici del processo d’Appello bis contro l’ex senatore Antonio “Tonino” D’Alì, parlamentare di Forza Italia dal 1994 al 2018, da anni sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa, anche per i suoi legami con la famiglia Messina Denaro, dal patriarca don Ciccio al figlio tuttora latitante Matteo. La Cassazione nel gennaio 2018 annullò la sentenza in cui era stato assolto e prescritto per i fatti precedenti al gennaio 1994. E dallo scorso agosto si trova sottoposto alla “sorveglianza speciale” con obbligo di dimora a Trapani: dovrà rincasare entro le 21 per cinque anni. Nell’Appello bis invece la Corte ha riaperto l’istruttoria e tra gli argomenti in fase di approfondimento c’è il trasferimento del prefetto Fulvio Sodano che – anche quando fu costretto dalla Sla a comunicare attraverso un computer a impulsi ottici – raccontò ai pm delle “pressioni di D’Alì”.

Secondo l’accusa, il politico – all’epoca sottosegretario agli Interni del Governo Berlusconi, dal 2001 al 2006 – avrebbe “determinato il trasferimento del prefetto, facendosi latore presso il Ministro dell’Interno delle istanze e degli interessi di Francesco Pace, Antonino Birrittella (poi divenuto collaboratore di giustizia) e, più in generale, della famiglia mafiosa di Trapani; e, prima ancora, di essere intervenuto in maniera conforme ai medesimi illeciti interessi presso il Prefetto, che perorava il conferimento di commesse alla Calcestruzzi Ericina”. Per questo nei mesi scorsi la Corte ha ascoltato ex Ministro dell’Interno Beppe Pisanu, l’ex capo di Gabinetto del Ministro, Carlo Mosca, e l’ex presidente della Regione, Salvatore ‘Totò’ Cuffaro. E siccome il processo si svolge a porte chiuse, soltanto adesso è possibile incrociare le dichiarazioni dei testimoni da cui si evincono le contraddizioni sulle ragioni e i contorni di quel trasferimento. Tanto che In più occasioni il presidente della Corte Antonio Napoli è stato costretto a richiamare i testimoni “all’obbligo della verità processuale”.

Il trasferimento da Trapani ad Agrigento fu ratificato in Consiglio dei Ministri l’11 luglio 2003, nonostante un mese prima avesse ricevuto una conferma da parte del Ministero dell’Interno, proprio per il suo ruolo nella lotta alla mafia del calcestruzzo. “Mi rivolsi al Presidente della Regione (Salvatore ‘Totò’ Cuffaro) chiedendogli di accertare il vero motivo del trasferimento, dopo qualche giorno lo stesso mi riferì che si era fatto ricevere da Pisanu il quale gli aveva detto che dopo aver resistito alle pressioni del D’Alì alla fine aveva dovuto cedere alle insistenze del sottosegretario che pur sempre era uno dei suoi più stretti collaboratori”, raccontò Sodano il 19 aprile 2007 ai pm della Dda di Palermo. Aggiungendo di essere stato informato del trasferimento “nel tardo pomeriggio del giorno precedente alla convalida” attraverso una telefonata del prefetto Mosca.

Interrogato nell’ottobre 2007, l’ex presidente della Regione disse di non aver “mai riferito a Sodano in termini così perentori le frasi che l’ufficio mi legge, può essere accaduto tuttavia che nelle lunghe conversazioni avute con Sodano spesso incentrate su questo argomento, io abbia potuto suscitare in lui anche per ragioni umanamente comprensibili il convincimento”. In aula lo scorso 16 ottobre invece ha dato una versione diversa, dicendo che “Pisanu mi disse che il prefetto era stato promosso, non trasferito, perché ritenevano, ecco, questo me lo ricordo adesso, che la prefettura di Agrigento fosse di grado superiore alla prefettura di Trapani, ricordo questo”. Una ricostruzione che collima con quella raccontata da Pisanu il 29 ottobre 2007 ai pm Roberto Scarpinato e Andrea Tarondo. Anche l’ex ministro, però, dinanzi ai giudici dell’Appello bis ha pronunciato parole diverse. All’epoca aveva riferito che il trasferimento “fu anche un riconoscimento delle sue qualità professionali stante la necessità che si manifestava di gestire il difficile problema dell’immigrazione (la prefettura di Agrigento ha pertinenza su Lampedusa) particolarmente sentito in quel periodo”, aveva detto all’epoca.

Durante l’Appello bis invece ha riferito di “non ricordare”, così come “non ricordo di avere informato Cuffaro sul trasferimento di Sodano, durante il mio ministero non vi era la prassi di comunicare al Presidente della Regione la movimentazione dei prefetti”. Diversa la versione anche del prefetto Carlo Mosca che il 7 febbraio 2007 aveva riferito di non aver “mai comunicato al prefetto Sodano le ragioni del suo spostamento, che intendo precisare risiedono esclusivamente in motivi di ordinario avvicendamento tra prefetti”. Mentre durante l’Appello bis ha riferito che “il movimento fu determinato dalle condizioni di salute del prefetto Sodano, condizioni di salute che impedivano una presenza in prefettura costante e continua”. “Ma la soffriva a Trapani e la soffriva ad Agrigento, diciamo non c’è una grande differenza”, ha evidenziato il presidente della Corte, Antonio Napoli. “Io non credo che ci sia prova che il prefetto Sodano già avesse dei problemi così incipienti, diciamo così, da non poter esercitare queste funzioni”, ha ribattuto il pg Domenico Gozzo. E infatti sia Cuffaro (interrogato lo scorso 16 ottobre) che Pisanu (ascoltato in videoconferenza il 27 novembre) hanno escluso che il trasferimento sia avvenuto per motivi i salute.

Quando nel 2011 iniziò il processo di primo grado, il gup non ammise i familiari di Sodano tra le parti civili, indicando il Ministero dell’Interno come parte offesa. Dal Viminale però non arrivò la costituzione, nel suo interrogatorio però il prefetto Mosca ha raccontato: “Telefonai anche più volte al prefetto Sodano per manifestare la solidarietà di tutti i colleghi, anche recentemente all’Università la ‘Luiss’ durante la presentazione di un libro il figlio del prefetto Sodano, ci siamo scambiati anche testimonianze di amicizia”. Una ricostruzione che stride con quella di Andrea, figlio 27 enne, che ha frequentato un Master nell’università romana: “quella era la prima volta che lo vedevo, all’epoca dei fatti avevo 11 anni e non l’avevo mai visto prima, l’amicizia è un’altra cosa, la nostra famiglia non ha mai ricevuto alcuna solidarietà e siamo stati da sempre isolati”.

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