L’Unione europea ha sempre svolto un ruolo di leader nella lotta al cambiamento climatico e, dopo aver adottato un impegno di riduzione delle proprie emissioni di gas climalteranti del 20% entro il 2020, ha rilanciato con l’obiettivo del taglio del 40% entro il 2030. La nuova presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha più volte dichiarato che intende lavorare per aumentare tale obiettivo al 50-55%, quale misura necessaria per rendere credibile il raggiungimento della decarbonizzazione al 2050.

I settori più critici ove si dovranno tagliare le emissioni sono quelli relativi al residenziale, al terziario, all’agricoltura e ai trasporti che, per gli addetti ai lavori, si identificano come i settori non-Ets, per distinguerli dai grandi impianti emettitori di gas serra (centrali termoelettriche, cementifici, inceneritori, ecc., con potenze superiori ai 20 MW) già normati dalla direttiva Ets (Emission Trading System) che gestisce il comparto a livello comunitario. I settori non-Ets vengono invece regolati direttamente dai singoli Stati membri, una volta assegnato loro l’obiettivo da raggiungere in termini di riduzione delle emissioni. Per l’Italia tale obiettivo di riduzione nei settori non-Ets è stato posto al 33%.

Ciò che molto spesso non viene percepito è che i settori non-Ets sono quelli ove i governi locali, in particolare i Comuni, hanno una diretta competenza e quindi una maggiore forza di intervento. Per questo motivo nell’ormai lontano 2008 venne lanciato dalla Commissione Europea il Patto dei sindaci, poi ribattezzato nel 2015 Patto globale dei sindaci per il clima e l’energia ove ai temi della mitigazione (riduzione delle emissioni) si aggiungevano i temi dell’adattamento ai cambiamenti climatici, cioè la gestione dei rischi dovuti agli impatti attesi, proprio a testimonianza del fatto che, visto il ritardo con il quale si è deciso di affrontare il problema, è adesso necessario attrezzarsi anche per rispondere agli impatti di un clima che sta già cambiando e produce effetti sempre più devastanti. Quindi mitigazione ed adattamento insieme con un approccio integrato. Il Patto dei sindaci rappresenta l’iniziativa più importante a livello europeo, nonché mondiale, di lotta ai cambiamenti climatici alla quale hanno aderito finora 9.800 enti locali con una popolazione complessiva di oltre 300 milioni di abitanti.

Gli enti locali aderenti al Patto dei sindaci si assumono l’obiettivo di ridurre le emissioni dei propri territori di almeno il 40% entro il 2030, quale contributo volontario a supporto dell’obiettivo, questa volta vincolante, dello Stato membro. Viene naturale quindi pensare ad una stretta sinergia tra i due livelli di governance, il locale e il nazionale, magari con il regionale a fare da ponte, visto che, almeno in Italia, le Regioni hanno un ruolo ben preciso sulle tematiche energetiche. In Italia questo non è mai accaduto. Un grande lavoro è stato fatto direttamente dai Comuni (ad oggi l’Italia è ancora il paese leader in Europa per numero di adesioni al Patto dei Sindaci con circa 4.900 aderenti, il 50% del totale), alcuni sostenuti dalle rispettive Regioni in termini di supporto finanziario o dai diversi Coordinatori territoriali (le stesse Regioni, Consorzi di Comuni, Associazioni, ecc.) per un supporto di natura tecnica. Ma nulla da parte del governo nazionale.

Il 67% dei Comuni italiani aderenti al Patto dei sindaci ha presentato il proprio Piano di Azione per l’Energia Sostenibile (Paes) o Piano di Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima (Paesc) nel caso dell’orizzonte 2030, all’interno dei quali sono state inserite le azioni e i progetti che i Comuni intendono realizzare per tagliare le proprie emissioni di gas serra. Molti Comuni hanno anche già presentato i propri Rapporti di monitoraggio, obbligatori su base biennale, nei quali si certifica l’avanzamento delle azioni. Una volta realizzate, queste azioni daranno un contributo concreto al governo nazionale per raggiungere il target ad esso assegnato per i settori non-Ets.

Sia nella Strategia Energetica Nazionale (Sen) di alcuni anni fa, così come nella sua attuale evoluzione, il redigendo Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec), che delineerà il percorso che il nostro Paese intende seguire per ridurre le proprie emissioni di almeno il 40% entro il 2030 per poi giungere alla decarbonizzazione entro il 2050, le città e i governi locali non sono menzionati affatto. Eppure ci si attende una riduzione di almeno 142 MtCO2 dai settori non-ETS.

Nel Pniec va assolutamente inserito un chiaro riferimento al ruolo delle città nella lotta al cambiamento climatico, magari con indicati anche gli strumenti di supporto di cui le città necessitano e potenziando anche gli strumenti a disposizione di Enea quale Coordinatore Nazionale del Patto dei sindaci. Le città sono quei luoghi ove vive oggi oltre il 50% della popolazione, si produce l’80% del Pil e, non ultimo, si emettono i tre quarti delle emissioni di gas climalteranti dovute ai consumi finali di energia. Con il coinvolgimento formale delle autorità locali, gli stessi obiettivi di riduzione nazionale delle emissioni potranno essere più ambiziosi e anticipare noi, senza attendere le proposte della von der Leyen, l’innalzamento dell’obiettivo nazionale ad oltre il 50%, con un evidente vantaggio reciproco, tra città e governo nazionale, nel mettere in atto una strategia organica che punti a riorganizzare il settore energetico nazionale e che abbia come motore la decarbonizzazione e la sostenibilità.

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