A dieci anni dalla morte in ospedale dopo essere stato arrestato arriva arriva il giorno della sentenza sul caso di Stefano Cucchi, la più attesa dalla famiglia che non ha mai smesso di cercare la verità. I due carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, accusati di aver pestato il geometra di 31 anni dopo averlo arrestato, sono stati condannati a 12 anni per omicidio preterintenzionale. I giudici della Corte d’assise di Roma hanno assolto da questa accusa l’imputato diventato teste dell’accusa Francesco Tedesco, che nel 2018 decise di parlare e di raccontare quanto aveva visto nella caserma Casilina, dove avvenne il pestaggio. A lui sono stati inflitti due anni e sei mesi per falso. Il maresciallo Roberto Mandolini, il comandante della Stazione Appia dove fu portato Stefano, è stato condannato a 3 anni e 8 mesi per la falsificazione del verbale di arresto. Assolto Vincenzo Nicolardi: inizialmente doveva rispondere di calunnia ed è stata riqualificata in falsa testimonianza. I giudici hanno anche disposto il pagamento di una provvisionale di 100mila euro ciascuno ai genitori di Cucchi e alla sorella Ilaria mentre i carabinieri Di Bernardo, D’Alessandro, Mandolini e Tedesco, a vario titolo, dovranno risarcire, in separata sede, le parti civili Roma Capitale, Cittadinanzattiva e tre agenti della polizia penitenziaria. Di Bernardo e D’Alessandro sono stati inoltre interdetti in perpetuo dai pubblici uffici, mentre una interdizione di cinque anni è stata disposta per Mandolini.

“Stefano è stato ucciso, questo lo sapevamo e lo ripetiamo da 10 anni. Forse ora potrà risposare in pace – dice Ilaria Cucchi in aula alla lettura del verdetto – Oggi ho mantenuto la promessa fatta a Stefano dieci anni fa quando l’ho visto morto sul tavolo dell’obitorio. A mio fratello dissi: ‘Stefano ti giuro che non finisce qua’. Abbiamo affrontato tanti momenti difficili, siamo caduti e ci siamo rialzati, ma oggi giustizia è stata fatta e Stefano, forse, potrà riposare in pace. Ci sono voluti 10 anni e chi è stato al nostro fianco ogni giorno sa benissimo quanta strada abbiamo dovuto fare. Ringrazio tutti coloro che non ci hanno abbandonato e ci hanno creduto, assieme a noi”. “Un po’ di sollievo dopo 10 anni di dolore e di processi non veri” per Rita Calore, la madre di Stefano. “E’ finito un incubo” commenta Tedesco, che con le sue dichiarazioni ha indicato le responsabilità nel pestaggio. A riferire le sue parole all’Ansa è stato il suo difensore, Eugenio Pini. “Tedesco ha mostrato soddisfazione per l’esito di questo processo ed è andato via senza aggiungere altro”, ha spiegato Pini. “La giustizia è arrivata. Riposa Stefano. Riposa in pace frate'” scrive su Facebook Riccardo Casamassima, il carabiniere tra i primi a denunciare il caso Cucchi.

A nome dell’Arma dei carabinieri il comandante generale Giovanni Nistri ribadisce dolore e vicinanza alla famiglia: “Un dolore – dice il generale – che oggi è ancora più intenso dopo la sentenza di primo grado della Corte d’Assise di Roma che definisce le responsabilità di alcuni carabinieri venuti meno al loro dovere, con ciò disattendendo i valori fondanti dell’istituzione”. “Sono valori – conclude Nistri – a cui si ispira l’agire di 108mila carabinieri che, con sacrificio e impegno quotidiani, operano per garantire i diritti e la sicurezza dei cittadini, spesso mettendo a rischio la propria vita, come purtroppo testimoniano anche le cronache più recenti”.

Fabio Anselmo che ha seguito la complicata vicenda giudiziaria sottolinea che “Stefano è morto per colpa di quelli che lo hanno pestato, stava bene prima di essere arrestato ed è stato restituito cadavere. Siamo particolarmente commossi perché era una verità evidente. Sono passati dieci anni di vita che abbiamo perso tutti“. Di senso contrario il parere di Maria Lampitella, legale di D’Alessandro: “Una condanna di grande amarezza: la corte non ha accolto la nostra richiesta di interrompere la camera di consiglio per disporre una superperizia per eliminare ogni dubbio sulle cause della morte. Aspettiamo le motivazioni e utilizzeremo tutti gli strumenti per ribadire l’estraneità di Raffaele d’Alessandro”.

A parte il segretario della Lega Matteo Salvini che si è limitato a dire che “se qualcuno ha sbagliato, pagherà”, a commentare la notizia è stato tra le più alte cariche dello Stato il presidente della Camera Roberto Fico: “La solidità di una democrazia – dichiara – si misura anche dalla capacità di fare verità su se stessa. Con coraggio. Quello che hanno avuto Ilaria e tutta la famiglia Cucchi, cui va in questi momenti il mio ringraziamento”. Per l’ex presidente del Senato e senatore di Liberi e Uguali Piero Grasso si tratta di “una sentenza che rende giustizia a Stefano Cucchi, ai suoi familiari che hanno lottato per la verità e la giustizia, all’Arma dei Carabinieri, allo Stato”. Secondo il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, capo politico del M5s, è “quella di oggi è una sentenza che restituisce dignità a una famiglia e alla sua enorme sofferenza, che nessuno di noi può avere la presunzione di comprendere fino in fondo”. Lo scrive su Facebook il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, aggiungendo che “oggi lo Stato abbraccia la famiglia Cucchi”. Esprimono soddisfazione per la sentenza Amnesty Internationale e l’associazione Antigone: “E’ una sentenza importante quella di oggi, che non ci fa gioire, così come non ci fa gioire nessuna condanna – afferma il presidente Patrizio Gonnella – ma che dopo dieci anni di battaglie restituisce giustizia, verità e dignità a Stefano Cucchi”.

Le richieste dell’accusa con pene fino a 18 anni – Il pm Musarò aveva chiesto di condannare a 18 anni di carcere Di Bernardo e D’Alessandro, i due militari presunti autori del pestaggio. Per lo stesso reato il pm aveva invocato l’assoluzione – perché non ha commesso il fatto – Francesco Tedesco, il militare che nel corso del procedimento ha accusato i due colleghi. . Per lo stesso la richiesta di pena a tre anni e sei mesi per il reato di falso nella compilazione del verbale di arresto. Di questo risponde insieme al maresciallo Roberto Mandolini, all’epoca dei fatti a capo della stazione Appia, dove venne eseguito l’arresto. Per Mandolini il pm aveva chiesto otto anni di carcere e interdizione perpetua dai pubblici uffici. Chiesto il non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato di calunnia nei confronti dello stesso Mandolini, Tedesco e Vincenzo Nicolardi, anche lui carabiniere, a giudizio per le calunnie contro i tre agenti di polizia penitenziaria che vennero accusati nel corso del primo processo.

L’inchiesta bis sul pestaggio: “Schiaffi, pugni e calci” – L’inchiesta bis sulla morte di Stefano Cucchi era stata chiusa il 17 gennaio scorso con l’ipotesi che il geometra fosse stato pestato dai militari dell’Arma che lo avevano fermato. Il 10 luglio 2017 il gup del Tribunale di Roma aveva disposto il rinvio a giudizio dei carabinieri imputati. Il geometra romano morì nell’ottobre 2009 a Roma una settimana dopo il suo arresto per droga. Il processo per gli imputati è cominciato il 13 ottobre dell’anno scorso davanti alla Terza Corte d’Assise. Cucchi, secondo la ricostruzione della procura, fu colpito a “schiaffi, pugni e calci“. Le botte, per l’accusa, provocarono “una rovinosa caduta con impatto al suolo in regione sacrale”, provocando sul giovane “lesioni personali che sarebbero state guaribili in almeno 180 giorni e in parte con esiti permanenti, ma che nel caso in specie, unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che avevano in cura Cucchi presso la struttura protetta dell’ospedale Sandro Pertini, ne determinavano la morte“.

L’arresto e la morte all’ospedale Pertini di Roma – Il 31enne romano venne arrestato il 15 ottobre del 2009 in via Lemonia, a Roma, a ridosso del parco degli Acquedotti, perché sorpreso con 28 grammi di hashish e qualche grammo di cocaina. Quella notte, i carabinieri lo accompagnarono a casa per perquisire la sua stanza. Non trovando altra droga lo riportarono in caserma con loro e lo rinchiusero in una cella di sicurezza della caserma Appio-Claudio. La mattina successiva, nell’udienza del processo per direttissima, Stefano aveva difficoltà a camminare e parlare e mostrava evidenti ematomi agli occhi e al volto che non erano presenti la sera prima. Il giudice, nonostante le condizioni di salute del giovane, convalidò l’arresto, fissando una nuova udienza.

Cucchi venne rinchiuso nel carcere di Regina Coeli, ma le sue condizioni di salute peggiorarono rapidamente e, il 17, venne trasportato all’ospedale Fatebenefratelli per essere visitato. Chiaro il referto: lesioni ed ecchimosi alle gambe e al viso, frattura della mascella, emorragia alla vescica, lesioni al torace e due fratture alla colonna vertebrale. I medici chiesero il ricovero che Stefano rifiutò insistentemente, tanto da essere rimandato in carcere per poi essere ricoverato di nuovo, presso l’ospedale Sandro Pertini, dove morì il 22 ottobre. Solo a questo punto, dopo vani tentativi, i suoi familiari riuscirono a ottenere l’autorizzazione per vederlo: il corpo pesava meno di 40 chili e presentava evidenti segni di percosse.

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