In una sua documentata inchiesta dello scorso 4 ottobre su L’Avvenire, Nello Scavo ha pubblicato uno scoop che dovrebbe far riflettere l’opinione pubblica. Riassumiamo: l’11 maggio 2017 un minibus dai vetri oscurati varca i cancelli del Cara di Mineo (uno dei maggiori centri europei per i richiedenti asilo), per consentire a una delegazione libica di partecipare a un summit riservato sull’immigrazione. Membro influente della delegazione Abdal Rahman al Milad, in Libia conosciuto come Bija, e ritenuto dall’Onu e da altre organismi un trafficante internazionale di uomini.

Ha un lasciapassare, autorità di polizia e soprattutto strutture dei servizi segreti sanno chi è, eppure Bija può varcare il confine, sedersi a un tavolo, interloquire con funzionari pubblici italiani e tornare indisturbato a casa. Tentiamo di capire cosa è successo prima e dopo questo nuovo mistero italiano.

L’incontro è avvenuto l’11 maggio 2017. In quel momento l’opinione pubblica è totalmente all’oscuro. I giornalisti non hanno notizie, la magistratura neppure. Il Parlamento, con i suoi organismi di controllo, si occupa d’altro: del “mostro” Ong, le Organizzazioni non governative che con le loro navi salvano vite nel Mediterraneo.

C’è un’inchiesta della procura di Catania iniziata nel 2016 che fino a quel momento non ha ricevuto grande attenzione da parte della stampa. Lo scenario però cambia il 22 marzo 2017, quando il Comitato parlamentare per gli accordi di Schengen convoca il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro. La presidente Laura Ravetto (Forza Italia) precisa i contenuti dell’audizione. “Verificare questa possibile ipotesi di collaborazione eccessiva tra alcune organizzazioni non governative rispetto ai trafficanti di migranti”. Ravetto traccia la linea e porta prove: due rapporti di Frontex (agenzia europea per il controllo delle frontiere) e un filmato trasmesso su Internet e ripreso in una trasmissione televisiva, Striscia la Notizia.

Questo è il punto di partenza della grande campagna contro le Ong. Il procuratore parla di un “improvviso proliferare delle navi Ong” registrato nel 2016. C’erano contatti tra i vertici degli scafisti in Libia e le Ong? “Questo non è stato provato, ma non è stato neanche escluso”, “l’ipotesi di un consapevole accordo” tra Ong e trafficanti di uomini “non dà al momento alcun riscontro”. Fin qui il magistrato davanti al Parlamento, ma ai microfoni del talk tv Agorà il procuratore aggiunge altre accuse. “Alcune Ong potrebbero essere finanziate da trafficanti e so di contatti”. Il tutto con l’obiettivo di “destabilizzare l’economia italiana per trarne dei vantaggi”. Parole e accuse pesanti che la politica di quel periodo accoglie come un Vangelo.

Luigi Di Maio conia l’espressione “taxi del mare” che da quel momento diventa un brand. Anche la Commissione Difesa del Senato, presieduta dall’ex dalemiano Nicola La Torre, vuole vederci chiaro. Sul blog di Grillo compare un manifesto con le facce del procuratore Zuccaro e di Di Maio e la scritta “svelato il dossier Ong avevamo ragione”. Segue a ruota post su Facebook di Di Maio. “Non so se è chiaro: Ong finanziate da scafisti”. Idem Matteo Salvini in un tweet: “Ong finanziate da trafficanti”. Ovviamente non c’è una prova, una inchiesta conclusa, una indagine parlamentare con fatti, circostanze, nomi e cognomi.

Salvini, non ancora ministro, parla di un dossier dei servizi segreti italiani che racconterebbe tutto. Lo smentisce il leghista Stucchi, presidente del Copasir (il comitato parlamentare che controlla i servizi di sicurezza). Nel lessico comune, da bar dello sport e talk tv, la sigla Ong diventa sinonimo di malaffare se non di mafia. Il ministro Marco Minniti impone alle Ong un codice di comportamento. La più grande operazione di mistificazione, di guerra alla solidarietà, di attacco ad organizzazioni che tendono la mano a chi sta affogando in mare ha un successo clamoroso.

Nei due anni che seguono il Mediterraneo viene “liberato” dalla presenza delle navi umanitarie. Eppure non c’è un processo e una sentenza, una sola, in grado di dimostrare le complicità tra mercanti libici e Ong. Nel frattempo un trafficante c’era e agiva in Italia: il signor Bija, libero di muoversi a Mineo ma anche a Roma. Polizie, magistratura, servizi segreti esteri e interni, nessuno ha visto, nessuno sapeva. Il Parlamento, con il Copasir e l’Antimafia, era all’oscuro di tutto.

E’ un altro mistero italiano. Dietro quei vetri neri del minibus che portava in giro per l’Italia il comandante Bija si nasconde una delle più grandi vergogne italiane.

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