Ora che la seconda grande onda di calore – forse la più lunga, forse la peggiore – dell’estate 2019 avvolge le nostre vite meschine piegando le nostre energie vitali a un ritmo immoto, il caldo s’impone come centro del discorso: tutti i vari media contribuiscono ad alimentare una sorta di ancor più soffocante blabla, infiorettando d’aggettivi e di denominazioni altisonanti i continui aggiornamenti meteorologici, gli elenchi di consigli sanitari e “luogo-comunisti” di prevenzione, le mille divagazioni sulle varie conseguenze.

Un suggerimento controcorrente ci permettiamo di darlo anche noi: recuperate l’agile volume di Roberto Casati La lezione del freddo, uscito per Einaudi nell’autunno di quasi due anni fa, e immergetevi in questa insolita narrazione di un lungo soggiorno in una casa nei boschi del New Hampshire. E’ una sorta di diario familiare e filosofico, particolarissimo perché scritto da uno studioso di scienze cognitive conosciuto per le sue ricerche sull’ombra e sulle ombre (e, in materia, alle elucubrazioni in salsa junghiana preferisce magari l’analisi d’interminabili sedute fotografiche in timelapse del giro del sole in un bosco di betulle). Casati dichiara subito che lui e la sua famiglia sono rimasti così segnati dall’esperienza di poter vivere qualche mese in un mondo ancora dominato dal freddo, che hanno poi sempre voluto portarsi dietro, nelle successive tappe di vita, qualche palla di neve del New Hampshire da tenere in freezer.

Piccolo capolavoro d’intelligenza, La lezione del freddo è una lettura che può essere particolarmente consigliabile a chi sta cercando in questi giorni di rifugiarsi in montagna, per provare qualche scampolo dell’unica esperienza del freddo che oggi ormai è possibile fare: quello che Casati chiama, in una delle prime riflessioni profonde di questo suo delicato e prezioso racconto, “il freddo turistico”, l’unico in pratica che hanno conosciuto le generazioni italiane dal Dopoguerra e l’unico che c’aspetta ormai all’orizzonte.

La sentenza finale del volumetto è inequivocabile, come del resto anche la temperatura di questi giorni suggerisce a tutti noi: il freddo scomparirà dalla Terra. Ci resterà solo quello dei frigoriferi e del distrut-turismo, la crociera inquinante verso le zone polari e i campi da sci sempre più stile Dubai: pareti di cemento esterne di un metro, condizionatori giganteschi che vanno a tutto petrolio per almeno un mese prima di ottenere un manto nevoso decente e di stabilizzarlo, sempre alimentato da uno spreco termico allucinante. E’ vero, spiega Casati senza mezzi termini, useremo sempre meno petrolio per riscaldare, ma ne useremo altrettanto, se non di più, per raffreddare, in una spirale senza fine.

Nel vortice apocalittico penso subito al caso – di cui abbiamo già parlato e riparleremo – della follia ecologica delle Olimpiadi invernali del 2026 sull’asse Milano-Cortina, in un territorio, come il Nord-Est, che è ormai in fase di tropicalizzazione, che in questi giorni è infestato di zanzare esotiche anche oltre i mille metri d’altitudine.

O del presidente della provincia di Trento che fa rincorrere dai suoi forestali l’esuberante orso M49 perché “i grandi carnivori sono incompatibili con l’agricoltura”, senza nemmeno porsi il problema se non lo siano invece, per davvero, i bacini idrici per l’innevamento artificiale, che drenano montagne d’acqua preziosa e costano decine di milioni di soldi pubblici (l’ultimo progetto approvato è per le piste del Monte Bondone, che sono tutte intorno ai 1500 metri di quota e in un’esposizione dove sperare che si possa ancora sciare con la neve caduta dal cielo è una mezza follia).

Ma alzo gli occhi mentre una goccia di sudore m’imperla la fronte, controllo che l’impianto di de-umidificazione sia in funzione “econo”, prendo dal frigo una bella bio-bottle d’acqua gelata che ha fatto 200 km per arrivare a dissetarmi, e finalmente clicco sul tasto “spegni” del mio MacBookAir, ché invece dell’aria sulle gambe sta ormai facendo l’effetto boulle dell’acqua calda: forse è meglio che provi a rileggere anch’io La lezione del freddo.

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