“Mi chiedo come mai Renzi, che mi ha voluto accanto, addirittura pregandomi di ricandidarmi alle politiche del 2018 mentre avevo deciso il ritiro, ora mi attacchi. Proprio chi si è voluto mostrare con me in tv alla fine della campagna elettorale a In mezz’ora di Lucia Annunziata (foto sopra, ndr) indicandomi uomo simbolo della coalizione, ora addita me come emblema di una linea sbagliata sugli immigrati”. Uno sfogo, pesante, per un attacco veemente e inaspettato da parte di chi – premier e leader – aveva modo di scegliere e blindare la linea sull’immigrazione e ora la rinfaccia ai colleghi di partito.

Marco Minniti risponde a Matteo Renzi, che lo aveva accusato di aver “esasperato” il tema migrazioni (richiamando la frase dell’allora ministro dell’Interno “minaccia per la democrazia”). E al senatore di Rignano, che dalle pagine di Repubblica aveva aperto il fuoco anche sulla mancata approvazione dello Ius Soli, replica anche il suo successore a Palazzo Chigi, Paolo Gentiloni: “So bene che i nostri governi avrebbero potuto fare di più e meglio sul tema dell’integrazione – dice il presidente del Pd con il suo tono felpato invitando a “svegliare i sonnambuli” invece di “attardarci attorno a vecchie diatribe” – Anche con scelte positive come la legge sullo Ius Soli. Io purtroppo non sono riuscito a farla approvare al Senato. Per mancanza di numeri, non certo di coraggio o di volontà. Coraggio o volontà che semmai ci mancarono tra il 2015 e il 2016, quando i numeri c’erano eccome ma Governo e Pd decisero di non procedere”. Stoccata di fioretto, ma velenosa. 

Minniti invece è durissimo nei confronti di Renzi, riconducendo l’astio dell’ex premier alla mancata candidatura alle ultime Primarie dopo l’investitura del mondo che ruota attorno a ciò che resta del Giglio Magico. Una scelta che l’ex ministro dell’Interno aveva spiegato con la mancanza di un campo più largo, che avrebbe permesso di non bollare il suo nome come “renziano”. “Ho fatto una scelta in autonomia e ho deciso di non candidarmi dopo aver valutato quale aspetto politico prendeva la mia candidatura”, argomenta sulle pagine di Repubblica. E chiarisce: “Di quella scelta non sono contento, ma contentissimo”. Quindi la rivendicazione: “Merito rispetto, se non altro per essere stato l’uomo della sinistra che negli ultimi vent’anni ha ricoperto più a lungo incarichi di governo”. 

Parole al vetriolo che stroncano l’uscita di Renzi, una giravolta in piena regola – e pieno stile renziano – se si pensa che fino a pochi mesi fa, in effetti, l’ex premier aveva sempre difeso le politiche in tema di migrazioni, ringraziando ed elogiando più e più volte l’uomo a cui aveva lasciato la delega ai Servizi segreti, data da Enrico Letta. Senza contare quella ventina di pagine – contestatissime – del suo libro nel quale con un linguaggio più tipico di un altro Matteo, Renzi affermava la necessità di “aiutarli a casa loro”, diceva “basta buonismo” e “terzomondismo” e chiariva: “Non possiamo accoglierli tutti”. Ora la piroetta, che più un’estrema convinzione sul tema appare agli occhi di molti esponenti del suo stesso partito come un attacco alla nomenklatura dem che si è ripresa il Pd all’interno di una più ampia guerra di riposizionamento interno.

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