di Donatello D’Andrea

Il 27 giugno del 1980, un DC-9 dell’Itavia, con a bordo 77 passeggeri e quattro membri dell’equipaggio, decollò alle ore 20.08 dall’aeroporto di Bologna diretto a Palermo. Alle ore 20.59, tra Ponza e Ustica, l’aereo scomparve dai radar assieme alla vita di 81 persone.

Dopo 39 anni, le cause che hanno portato a questo incidente sono ancora incerte: tante ipotesi, tante verità ufficiali puntualmente smentite dagli addetti ai lavori. Ciò ha fatto crescere attorno alla vicenda un alone di mistero, il quale però non ha reso giustizia alle famiglie delle persone coinvolte nell’incidente.

Dalla pista francese a quella americana, passando per l’attentato terroristico. Negli anni della Guerra fredda, il coinvolgimento internazionale all’interno delle misteriose vicende italiane era all’ordine del giorno e Ustica si va ad aggiungere, assieme alle stragi degli Anni di piombo, a quei casi ancora irrisolti che tormentano giorno e notte la travagliata storia della Repubblica Italiana.

Dopo 39 anni si sa di per certo che non fu un attentato terroristico poiché le perizie successive dimostrarono che le fusoliere dell’aereo e i finestrini dello stesso erano integri, quindi è molto improbabile che all’interno dell’aereo fosse scoppiata una bomba.

Nonostante fosse da subito chiaro che il DC-9 dell’Itavia non fosse caduto per un cedimento strutturale (prima ipotesi formulata dall’Aeronautica Militare), le autorità insistettero molto su ipotesi che escludessero a priori la loro responsabilità nel caso. Infatti, a questo proposito, le stesse autorità, coadiuvate da una parte dei servizi segreti militari deviati, condussero un’indagine parallela volta ad insabbiare tutti gli elementi riconducibili a loro.

A questo, molto probabilmente, si collegano alcuni strani “incidenti” accaduti a coloro che quella notte, direttamente o indirettamente, parteciparono all’incidente del DC-9. Alcuni ufficiali, infatti, persero la vita dopo aver condiviso con i propri familiari la paura che qualcosa potesse accadere loro, suicidandosi oppure perendo in strani incidenti d’auto o durante la celeberrima manifestazione di Ramstein, in Germania. A questi si aggiungono coloro che, come il capitano Marco Ciancarella, furono cacciati dall’Aeronautica perché stavano indagando sulla strage.

Sono ancora tanti i misteri che ruotano attorno a quello che, fino all’incidente di Linate, fu il più grave disastro aereo italiano.

Ad infittire il mistero, oltre ovviamente alle indagini parallele condotte dai giornalisti (su tutti Andrea Purgatori), ci sono le parole di Cossiga – il quale nel 2007 attribuì l’incidente ad un missile lanciato da un aereo militare francese il quale credeva che a bordo ci fosse Gheddafi – e la misteriosa telefonata di un militare alla nota trasmissione “Telefono Giallo” il quale riferì di uno scontro ravvicinato sui cieli di Ustica tra due F-14 francesi o americani e un Mig libico.

A questo proposito, meno di un mese dopo la strage di Ustica, sulla Sila fu ritrovata la carcassa di un Mig libico, probabilmente lo stesso di cui parlava l’ex aviere a Telefono Giallo. Questa è una delle tante ipotesi, confutate anche dalla polizia e dalle autorità, ma è al contempo forse una delle più verosimili, essendo anche sostenuta da militari ed ex militari come il caporale Filippo Benedetti. D’altronde, anche l’autopsia fa sorgere qualche dubbio, poiché il cadavere del pilota, secondo il professor Zurlo, era in avanzato stato di decomposizione da almeno 20 giorni. In poche parole, secondo quanto emerso dalle dichiarazioni del caporale e da quelle del medico, quell’aereo sarebbe stato abbattuto poco dopo la strage e rinvenuto un mese dopo.

Dopo 39 anni, quindi, quel “muro di gomma” non è ancora stato abbattuto e lo spirito di cameratismo che ha portato militari ed ex militari ad insabbiare le indagini non è stato ancora scalfito. Dopo 39 anni, quelle vittime e le loro famiglie non hanno ancora ricevuto nessuna giustizia.

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