Tre storie di disperazione, tre omicidi commessi da uomini ormai anziani contro i loro cari: un figlio tossicodipendente, due mogli malate. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha firmato tre decreti di concessione della grazia in favore, rispettivamente, di Franco Antonio Dri, di Giancarlo Vergelli e di Vitangelo Bini. Gli atti di clemenza individuale hanno riguardato il residuo della pena ancora da espiare (circa tre anni e sei mesi per Dri, cinque anni e sei mesi per Vergelli e cinque anni e otto mesi per Bini). Nel valutare le domande di grazia, per cui il ministro della Giustizia ha formulato avviso non ostativo, il Quirinale ha tenuto conto dell’età avanzata dei condannati e delle precarie condizioni di salute dei medesimi, dei pareri favorevoli espressi dalle autorità giudiziarie nonché delle eccezionali circostanze in cui sono maturati i delitti, evidenziate nelle sentenze di condanna.

La grazia conclude la vicenda giudiziaria di Franco Drì, cominciata nel 2015 quando l’uomo sparò al figlio, Federico, di 47 anni, tossicodipendente, al culmine dell’ennesima lite, un colpo di pistola al petto, uccidendolo. I fatti si erano svolti a Fiume Veneto (Pordenone). L’anziano, non in perfetto stato di salute, era stato condannato in appello a una pena di oltre sei anni, che ha già in parte scontato. I cittadini di Fiume Veneto avevano avviato una petizione per sostenere la richiesta di grazia al Presidente, raccogliendo oltre mille firme. Anche la moglie e l’altro figlio di Dri avevano chiesto in una lettera che fosse concessa la grazie.  Anzi a lanciare un appello era stata la moglie che aveva detto “lo ha fatto per disperazione”.

Giancarlo Vergelli, di 88 anni, era stato condannato in 22 febbraio 2016 dalla corte d’appello di Firenze a 7 anni e 8 mesi per aver ucciso la moglie 88enne malata di Alzheimer. Recentemente la Cassazione aveva negato il riconoscimento delle attenuanti. L’omicidio avvenne a Firenze, nella casa di borgo Pinti, il 22 marzo 2014. Vergelli strangolò la moglie con una sciarpa e rimase accanto al cadavere circa un’ora, poi andò a costituirsi dalla polizia dicendo agli agenti “Non ce la faccio più” e spiegando di non reggere a un repentino aggravamento della malattia della moglie.

Storia analoga quella di Vitangelo Bini, 89 anni, che doveva scontare una condanna, confermata in Cassazione, a 6 anni e 6 mesi per l’omicidio della moglie, che era malata di Alzheimer: l’uomo uccise la moglie per non vederla più soffrire. Anche nel suo caso la Cassazione aveva respinto il ricorso presentato dal legale sull’attenuante cosiddetta etica. L’omicidio risale all’1 dicembre 2007. Bini, per 35 anni vigile urbano a Firenze, fino a quel tempo aveva assistito in casa la moglie Mara Tani malata da 12 anni di Alzheimer. Ma poi diventò necessario ricoverarla in una struttura sanitaria, a Prato. L’uomo, quando apprese del peggioramento delle condizioni della moglie e della sua ulteriore sofferenza nell’ospedale, prese una pistola dalla sua collezione di armi e la raggiunse nel reparto di degenza uccidendola con tre colpi.

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