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Francia-Italia, lo scontro vero è sui campi petroliferi in Libia: Haftar, uomo di Parigi, punta ad accerchiare l'”italiano” Al Sarraj

Il 16 gennaio il generale della Cirenaica ha lanciato un'offensiva nella regione meridionale del Fezzan. E il 7 febbraio, poche ore prima che il Viminale puntasse il dito contro la polizia francese e l'Eliseo reagisse, il suo esercito aveva annunciato la presa dell'impianto di Al Sharara, il più grande del Paese con una capacità di 315mila barili al giorno, un terzo della produzione totale, finora controllato dal governo appoggiato da Roma

L’endorsement e le foto con i gilet gialli, le scaramucce sui gendarmi che rallentano i treni al confine, le accuse sul franco Cfa, le reciproche accuse sulla gestione dei migranti. Sono solo la superficie. Si consuma nel sud della Libia il vero scontro tra l’Italia e la Francia. L’uomo di Parigi nello scacchiere libico, Khalifa Haftar, il 16 gennaio ha lanciato un’offensiva nell’estesa regione meridionale del Fezzan. Un’operazione che, se portata a termine, avrebbe conseguenze dirette per gli interessi italiani, perché consentirebbe al capo militare del governo di Tobruk di estendere la propria influenza dalle terre orientali della Cirenaica sul sud del Paese – da sempre terra di nessuno e teatro di scorribande di milizie e trafficanti di esseri umani che operano sul confine con il Niger e il Ciad – accreditarsi sempre più come interlocutore della comunità internazionale e accerchiare, non solo politicamente, il governo di Fayez Al Sarraj, appoggiato dall’Italia.

Poche ore prima che il Viminale puntasse il dito contro la polizia doganale d’oltralpe accusandola di rallentare i treni al confine e provocasse così la reazione di Parigi, il portavoce dell’Esercito nazionale libico, che fa capo ad Haftar, aveva annunciato la presa del campo petrolifero di Al Sharara, nella regione di Ubari, a 900 km a sud di Tripoli, la cui produzione era bloccata da 2 mesi. Il sito è strategico per l’economia dell’intera Libia e per gli Stati che hanno interessi petroliferi nel Paese: gestito dalla società Akakus, joint-venture tra la Noc – la compagnia petrolifera nazionale controllata dal governo di Fayez Al Sarraj, principale interlocutore dell’Italia – la spagnola Repsol, la francese Total, l’austriaca Omv e la norvegese Statoil, l’impianto ha una capacità di produzione di circa 315mila barili al giorno, quasi un terzo della produzione libica totale. Una conquista che, fosse confermata, conferirebbe al generale un fortissimo potere contrattuale nello scenario delle elezioni politiche previste entro l’anno.

E’ solo la punta di quel grande iceberg che è il piano di Haftar, signore della guerra platealmente appoggiato dalla Francia, che controlla già vaste aree del petrolio libico inclusa la “mezzaluna petrolifera” nel nord. Le forze del generale, appoggiato anche da Russia, Egitto ed Emirati, in queste settimane sono particolarmente attive nel sud del Paese, dove portano avanti una strategia di occupazione del territorio con la motivazione di stringere contatti e alleanze con le milizie locali, ripulirlo da terroristi di varia estrazione, mettere in sicurezza gli impianti petroliferi e interrompere il flusso migratorio che dal sub Sahara risale verso il Mediterraneo. Ma il potenziale obiettivo è anche quello di accerchiare a distanza le milizie che, almeno formalmente, appoggiano il governo filo-italiano di Al Sarraj a Tripoli e nel nord-ovest del Paese, dove l’italiana Eni ha i suoi impianti e cooltiva la maggior parte dei suoi interessi petroliferi.

“Se l’Esercito nazionale libico riesce a tenere le proprie posizioni nelle regioni centrali e meridionali, ciò comporta che tutte le milizie lungo la costa, incluse quelle a Misurata e Tripoli, sono circondate, anche se a distanza”, ha notato Mustafa Fetouri, analista e giornalista vincitore del premio Ue “Freedom of the Press“, riferendosi in particolare alla “milizia più forte“: la “al-Bunyan al-Marsos”, che controlla l’area da Harawah a Misurata lungo la strada costiera che va da Sirte a Tripoli. E che almeno formalmente finora ha appoggia il governo di Al Sarraj.

Che, ben consapevole del rischio, è corso alle contromisure. Pochi giorni fa l’uomo dell’Italia in Tripolitania ha nominato Ali Kanna, capo milizia touareg noto oppositore di Haftar e del suo Esercito nazionale, a nuovo comandante della zona militare meridionale, quella che comprende gran parte del Fezzan. Una nomina che è stata interpretata da molti osservatori come il chiaro segnale della volontà di Sarraj di opporsi militarmente all’espansione di Haftar nell’area.

L’offensiva di Haftar si svolge in concomitanza con un rinnovato attivismo della Francia alcuni gradi di latitudine più a sud. Dal 4 al 6 febbraio caccia Mirage dell’aviazione francese appartenenti all’operazione Barkhane hanno bombardato un convoglio di ribelli ciadiani in fuga dalla Libia nel nord del Ciad, Un intervento, hanno detto le autorità di Parigi, effettuato in risposta alla richiesta del governo ciadiano. I media libici lo hanno interpretato come un primo atto concreto di sostegno della Francia alle forze di Haftar i cui interessi combaciano con quelli del presidente ciadiano, Idriss Deby, il quale intende eliminare completamente gli oppositori del movimento Comando militare del Consiglio per la salvezza della Repubblica (Ccmsr), gruppo armato ribelle ciadiano di base nel sud della Libia.

E’ stata la prima volta che i caccia francesi colpiscono questo obiettivo da quando a metà gennaio le forze di Haftar hanno dato il via all’offensiva nel Fezzan. Non è un caso che più volte nelle ultime settimane il portavoce dell’Lna, Ahmed al Mismari, abbia ribadito che l’offensiva si sta svolgendo in coordinamento con le autorità del Ciad. Si tratta quindi di un obiettivo comune considerato che lo scorso agosto i ribelli dello stesso gruppo ciadiano erano partiti dalla loro base nel sud della Libia per colpire il villaggio di Kuri Boughri, nel nord del Ciad, per poi ritornare in Libia. Lo scorso ottobre Haftar è stato per questo in visita nel Ciad per incontrare il presidente Deby e discutere della situazione nel Fezzan.

Uno scenario alla luce del quale appare più chiaro il significato del recente viaggio di Giuseppe Conte in Niger e in Ciad. “Le nostre forze armate possono sicuramente contribuire ad addestrare, formare, le forze armate locali per rafforzare il perimetro di sicurezza di questo Paese e dei Paesi limitrofi in modo che possano contrastare sul terreno più efficacemente le minacce terroristiche e i trafficanti di esseri umani, droga, armi”, aveva detto il 16 gennaio dice il premier a N’Djamena, in una dichiarazione alla stampa con il presidente Déby. Il giorno prima il presidente del Consiglio aveva incontrato a Niamey i 92 militari della missione italiana in Niger, cui aveva annunciato la volontà del governo di “rafforzare” la presenza italiana per l’addestramento di “forze armate e forze speciali“.