“Badate a quanto le latitudini cambino il senso delle cose: in Sicilia l’intervento del Sisde, nelle indagini di via d’Amelio, è sinonimo di depistaggio, mentre a Torino per l’omicidio Caccia, l’autorità giudiziaria ha rivendicato pubblicamente di aver incaricato il Sisde per svolgere le indagini, abusivamente”. A 35 anni dalla morte del procuratore Bruno Caccia, la famiglia del giudice, insieme al legale Fabio Repici, continua a chiedere che si faccia chiarezza sul delitto. Durante l’audizione in conferenza capogruppo al comune di Torino, il legale che segue anche la famiglia Borsellino nel processo Borsellino quater, ha evidenziato i punti ancora oscuri della vicenda: “L’omicidio di Bruno Caccia ha pagato pesanti depistaggi: si tratta dell’unico delitto nella storia della Repubblica dove le indagini sono state subappaltate dallo Stato a un mafioso detenuto, Francesco Miano, incaricato appositamente da un funzionario del Sisde”. Ad oggi, per il delitto Caccia sono stati condannati in via definitiva il boss Domenico Belfiore come mandante e in primo grado Rocco Schirripa come esecutore materiale. “C’è un’area di interessi e di concause che hanno portato all’omicidio Caccia che non si è voluto in nessun modo porre sotto la dovuta luce, si è voluto costruire una versione che è palesemente falsa derubricandola a vendetta privata di Domenico Belfiore e del suo gruppetto mafioso, ma nessuno ha voluto ne saputo accertare in sede giudiziaria la causale del delitto”.

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