Vi siete chiesti perché Tap non è nel contratto del governo mentre Tav sì? Rispondendo a questo dubbio, troverete il bandolo della matassa che mostra i “pentastellette” nel pieno della loro vacuità. A meno che una manina non abbia tolto il dossier Tap dal contratto del governo, dobbiamo tornare a quei giorni con la memoria. Possiamo affermare che se oggi abbiamo una ministra del Sud lo dobbiamo alla firma del contratto di governo? Secondo me sì. La chiamerei compensazione, per non far apparire troppo pentaleghista il governo, spostando l’attenzione sul Sud con un ministero ad hoc. In cambio di che? Probabilmente proprio dell’eliminazione del dossier Tap dagli accordi di governo. Bella mossa politica.

La questione Tap, infatti, era nelle prime discussioni del contratto. Poi è rimasta solo la Tav, sempre vincolata all’analisi costi-benefici, ed è spuntato il Ministero del Sud, che doveva occuparsi anche di Tap. Qui si passa dall’ingenuità politica all’incompetenza. E’ nelle parole di Giancarlo Giorgetti che si svelano le ambiguità. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, negli ambienti che contano nei palazzi e nei sotterranei di Sant’Eustacchio, è chiaro e limpido: “Le grandi opere bisogna farle… tutte”. Lui sapeva benissimo che su Tap erano in ballo le aziende protagoniste dell’energia in Italia, quelle che lavorano all’estero per montare trivelle, impianti petroliferi, raffinerie e attività petrolchimiche per commesse miliardarie. Non certo per l’interesse al tubo di San Foca, ma per la generosità degli azeri a stipulare contratti a Baku soprattutto nel settore petrolifero. Il tubo agli azeri è servito per drenare enormi risorse alle banche di investimento pubbliche di Asia ed Europa. Soldi a fondo perduto che valgono di più perché si concedono nonostante l’alto rischio del progetto.

La Tap sta per ottenere i primi 500 milioni di euro approvati del finanziamento totale di 1,5 miliardi che la Banca europea degli investimenti concederà. Per questo non vogliono lo spostamento a Brindisi dell’approdo, perché il progetto è stato già approvato ed i funzionari mandati da Junker lo hanno approvato così com’è. Cambiamenti comporterebbero il rifacimento della richiesta con la variante, nuovi sopralluoghi della BEI e nuovi iter di approvazione. L’intero progetto mira essenzialmente ad incassare questi fondi più che a realizzarsi materialmente. Pensateci: un gasdotto dal costo previsto di 4,5 miliardi di euro, secondo Conte e Di Maio ed i pentastellette, potrebbe costarci 20 miliardi di euro di risarcimenti se non lo si realizzasse? Ma se fosse così, Tap multinazionale Svizzera avrebbe tutto l’interesse a non farlo e a chiedere già i risarcimenti ma sa benissimo che non è detto che sui risarcimenti la spunti.

La Deloitte, revisore della Tap AG, nel dicembre 2014 consigliava a Tap, allora fortemente indebitata per 344.101.420 di franchi, estrema prudenza per non trovarsi sovra-indebitata proprio perché il progetto poteva non reggere ed aveva troppe variabili e rischi incontrollati, strutturali e naturali. Rischi derivanti da eccedenze di costi ed instabilità politiche nei paesi attraversati. Rischi riguardanti gli assetti geologici e geopolitici. Con una relazione dei propri revisori di questo tipo, parrebbe ardua ogni richiesta di risarcimento. A guardare la sede di Baar, della multinazionale, vien da chiedersi se questa allegra compagnia non abbia messo in piedi un teatro proprio per lucrare sull’impossibilità di realizzare questo progetto.

Ricordiamo sempre che la società di energia Svizzera AXPO dalla quale nasce Tap, ha ridotto al 5% la sua partecipazione azionaria, e quindi la sua partecipazione ai costi. Se fosse stato un buon affare non avrebbero venduto la loro posizione azionaria di assoluto vantaggio. Eppure sugli eventuali costi di risarcimento presunti e tutti da verificare in futuro, Di Maio e Conte ci hanno messo la faccia, senza considerare un elemento essenziale. Alla base della fattibilità del progetto ci sono clausole che riguardano il consenso delle popolazioni locali alle diverse procedure. Ed in questo campo non basterà alla multinazionale, in una eventuale sede processuale sui risarcimenti dimostrare che ha elargito corsi di inglese gratuiti, master a Londra pubblicità sui media per dimostrare che le popolazioni locali erano palesemente in pieno accordo sul progetto. Quello che manca al progetto, anche per richiedere eventuali risarcimenti è un tassello essenziale: il consenso popolare.

Un ex amministratore delegato mi ha rivelato che si era battuto molto nel passato per incontrare sindaci, popolazioni e convincerli sulla convenienza del progetto. Ma quando sono entrati nel progetto gli inglesi della BP, tutto è stato bloccato, perché il lavoro di convincimento è passato nelle mani di Tony Blair, che ovviamente non si è preoccupato del consenso locale del popolo, ma di quello dei suoi governanti nazionali, che ha sempre ottenuto con successo.

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