Il Papa che offrì la sua vita alle Brigate rosse per la liberazione di Aldo Moro e l’arcivescovo di San Salvador ucciso dagli squadroni della morte del regime di estrema destra di cui denunciava i soprusi. Francesco ha canonizzato insieme Paolo VI e Oscar Arnulfo Romero in una cerimonia storica, in piazza San Pietro, mentre in Vaticano è in corso il Sinodo dei vescovi sui giovani. Una scelta significativa, quella di Bergoglio, di proclamare insieme la santità di Montini e Romero il cui rapporto è sempre stato di grande amicizia, stima e sostegno come dimostrano numerose testimonianze dei due nuovi santi. L’arcivescovo di San Salvador si sentiva profondamente compreso da quel Papa bresciano nonostante la Curia romana lo avversasse in ogni modo. Nell’ultima udienza privata con Montini, il 24 giugno 1978, Romero lasciò al Pontefice questa nota: “Lamento, Santo Padre, che nelle osservazioni presentatemi qui in Roma sulla mia condotta pastorale prevale un’interpretazione negativa che coincide esattamente con le potentissime forze che là, nella mia arcidiocesi, cercano di frenare e screditare il mio sforzo apostolico”.

Nell’omelia della messa della canonizzazione, Francesco ha sottolineato che “Paolo VI, anche nella fatica e in mezzo alle incomprensioni, ha testimoniato in modo appassionato la bellezza e la gioia di seguire Gesù totalmente. Oggi ci esorta ancora, insieme al Concilio di cui è stato il sapiente timoniere, a vivere la nostra comune vocazione: la vocazione universale alla santità. Non alle mezze misure, ma alla santità. È bello che insieme a lui e agli altri santi e sante odierni ci sia monsignor Romero, che ha lasciato le sicurezze del mondo, persino la propria incolumità, per dare la vita secondo il Vangelo, vicino ai poveri e alla sua gente, col cuore calamitato da Gesù e dai fratelli. Lo stesso possiamo dire di Francesco Spinelli, di Vincenzo Romano, di Maria Caterina Kasper, di Nazaria Ignazia di Santa Teresa di Gesù e di Nunzio Sulprizio. Tutti questi santi, in diversi contesti, hanno tradotto con la vita la parola di oggi, senza tiepidezza, senza calcoli, con l’ardore di rischiare e di lasciare”.

L’arcivescovo di San Salvador si sentiva profondamente compreso da quel Papa bresciano nonostante la Curia romana lo avversasse in ogni modo

L’arcivescovo di San Salvador fu avversato in vita e in morte, come ha ricordato più volte lo stesso Bergoglio: “Il martirio di monsignor Romero è continuato anche dopo essere stato assassinato, perché fu diffamato e calunniato, anche da suoi fratelli nel sacerdozio e nell’episcopato”. Quando fu ucciso nel 1980, in Vaticano i più stretti collaboratori di San Giovanni Paolo II consigliarono al Papa polacco di non andare a presiedere i suoi funerali. Ma proprio Wojtyla, durante il Giubileo del 2000, commemorando al Colosseo i nuovi martiri cristiani, sposò la tesi della sua riabilitazione: “Pastori zelanti come l’indimenticabile arcivescovo Oscar Romero, assassinato sull’altare durante la celebrazione del sacrificio eucaristico”. Proprio alla vigilia di quella celebrazione, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, lo storico Andrea Riccardi, come ha rivelato lui stesso, parlò con San Giovanni Paolo II di Romero. “Dicono che sia una bandiera della sinistra”, gli replicò il Papa polacco. “Io – racconta Riccardi – gli ricordai la sua visita a San Salvador, quando si impose per andare sulla tomba dell’arcivescovo, nonostante la volontà contraria del governo. Stese le mani sulla tomba e disse: ‘Romero è nostro’”.

Anche Paolo VI fu oggetto di attacchi feroci da parte della Curia romana. Basta citare solo due suoi documenti che furono molto contestati: l’enciclica Humanae vitae, del 1968, con la quale chiuse definitivamente le porte ai metodi contraccettivi; e il motu proprio Ingravescentem aetatem, del 1970, con il quale stabilì la pensione per i cardinali capi dicastero della Curia romana a 75 anni e la perdita del voto in conclave al compimento degli 80 anni. Un Papa sicuramente rivoluzionario in tempi difficilissimi e di grande modernità. Il primo a prendere un aereo e a lasciare l’Italia inaugurando la stagione dei viaggi papali. Ma anche colui che rifiutò la tiara, pochi mesi dopo l’inizio del suo pontificato, vendendola e dando il ricavato in beneficenza. Fu l’allora cardinale di New York, Francis Spellman, ad acquistarla con una sottoscrizione che si aggirò attorno al milione di dollari. Fu anche il primo Pontefice a chiedere delle esequie semplicissime: “Circa i funerali siano pii e semplici, si tolga il catafalco ora in uso per le esequie pontificie, per sostituirvi apparato umile e decoroso. La tomba: amerei che fosse nella vera terra, con umile segno, che indichi il luogo e inviti a cristiana pietà. Niente monumento per me”. Per questo motivo il suo corpo, a differenza degli altri Papi recentemente canonizzati, rimarrà nelle Grotte Vaticane, lì dove fu sepolto dopo la sua morte avvenuta il 6 agosto 1978.

Montini fu un Papa rivoluzionario in tempi difficilissimi e di grande modernità

Montini è stato sicuramente il Papa del Novecento più avversato dalle gerarchie ecclesiastiche. Una stagione molto simile a quella che vive oggi Bergoglio. Non a caso Francesco, nell’omelia della canonizzazione, ha spiegato che “Gesù interroga ciascuno di noi e tutti noi come Chiesa in cammino: siamo una Chiesa che soltanto predica buoni precetti o una Chiesa-sposa, che per il suo Signore si lancia nell’amore? Lo seguiamo davvero o ritorniamo sui passi del mondo, come quel tale? Insomma, ci basta Gesù o cerchiamo tante sicurezze del mondo? Chiediamo la grazia di saper lasciare per amore del Signore: lasciare le ricchezze, le nostalgie di ruoli e poteri, le strutture non più adeguate all’annuncio del Vangelo, i pesi che frenano la missione, i lacci che ci legano al mondo. Senza un salto in avanti nell’amore la nostra vita e la nostra Chiesa si ammalano di autocompiacimento egocentrico: si cerca la gioia in qualche piacere passeggero, ci si rinchiude nel chiacchiericcio sterile, ci si adagia nella monotonia di una vita cristiana senza slancio, dove un po’ di narcisismo copre la tristezza di rimanere incompiuti. Fu così per quel tale, che, dice il Vangelo, se ne andò rattristato. Si era ancorato ai precetti e ai suoi molti beni, non aveva dato il cuore. E, pur avendo incontrato Gesù e ricevuto il suo sguardo d’amore, se ne andò via triste. La tristezza è la prova dell’amore incompiuto. È il segno di un cuore tiepido. Invece, un cuore alleggerito di beni, che libero ama il Signore, diffonde sempre la gioia, quella gioia di cui oggi c’è grande bisogno”.

Francesco ha ricordato, inoltre, che “il santo Papa Paolo VI scrisse: ‘È nel cuore delle loro angosce che i nostri contemporanei hanno bisogno di conoscere la gioia, di sentire il suo canto’. Gesù oggi ci invita a ritornare alle sorgenti della gioia, che sono l’incontro con lui, la scelta coraggiosa di rischiare per seguirlo, il gusto di lasciare qualcosa per abbracciare la sua via. I santi hanno percorso questo cammino. L’ha fatto Paolo VI, sull’esempio dell’Apostolo del quale assunse il nome. Come lui ha speso la vita per il Vangelo di Cristo, valicando nuovi confini e facendosi suo testimone nell’annuncio e nel dialogo, profeta di una Chiesa estroversa che guarda ai lontani e si prende cura dei poveri”.

Twitter: @FrancescoGrana

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