“Il martirio di monsignor Oscar Romero è continuato anche dopo essere stato assassinato, perché fu diffamato e calunniato, anche da suoi fratelli nel sacerdozio e nell’episcopato”. Papa Francesco non ha usato giri di parole o frasi di circostanza per spiegare che il martirio subito dall’allora arcivescovo di San Salvador, il 24 marzo 1980, è proseguito anche dopo la sua morte a causa anche di alcuni preti e vescovi. “Romero – ha denunciato Bergoglio – è stato lapidato con la pietra più dura che esiste al mondo: la lingua”.

È stato Francesco, subito dopo l’elezione al pontificato, a sbloccare la causa di beatificazione dell’arcivescovo di San Salvador che era ferma da anni alla Congregazione per la dottrina della fede. L’accusa contro di lui, sostenuta anche da diversi prelati, era quella di essere stato vicino alla teologia della liberazione. Bergoglio non ha mai avuto dubbi sulla santità di Romero e ne ha autorizzato la beatificazione che è avvenuta il 23 maggio 2015. La sua festa liturgica è stata fissata il 24 marzo, giorno in cui fu ucciso da un cecchino di estrema destra mentre celebrava la messa a causa del suo impegno contro le violenze della dittatura militare del suo Paese. Nella stessa giornata l’Onu ha proclamato la Giornata internazionale per il diritto alla verità sulle gravi violazioni dei diritti umani e per la dignità delle vittime.

Quando Romero fu ucciso dagli squadroni della morte mandati dal regime che il vescovo denunciava senza compromessi, in Vaticano arrivarono “una montagna di lettere anonime e firmate contro di lui”, come ha ammesso il postulatore della sua causa di beatificazione, monsignor Vincenzo Paglia. Ci voleva un Papa dell’America latina per rispondere a tutte quelle “calunnie”, come le ha definite lo stesso Bergoglio. “Per me Romero – ha sempre affermato il Papa – è un uomo di Dio, ma si deve fare il processo, e anche il Signore deve dare il suo segno”.

Nemmeno il Vaticano, però, era stato comprensivo con Romero durante il suo episcopato. Si racconta, infatti, di un rapporto abbastanza burrascoso con il beato Paolo VI. Nell’ultima udienza privata con Montini, il 24 giugno 1978, pochi giorni prima della morte del Papa, l’arcivescovo di San Salvador lasciò al Pontefice una nota abbastanza dura: “Lamento, Santo Padre, che nelle osservazioni presentatemi qui in Roma sulla mia condotta pastorale prevale un’interpretazione negativa che coincide esattamente con le potentissime forze che là, nella mia arcidiocesi, cercano di frenare e screditare il mio sforzo apostolico”. Quando, poi, fu ucciso nel 1980, i più stretti collaboratori di san Giovanni Paolo II consigliarono al Papa polacco di non andare a presiedere i funerali. Ma proprio Wojtyla, 20 anni dopo, ovvero durante il Giubileo del 2000, commemorando al Colosseo i nuovi martiri cristiani, sposò la tesi della sua riabilitazione: “Pastori zelanti come l’indimenticabile arcivescovo Oscar Romero, assassinato sull’altare durante la celebrazione del sacrificio eucaristico”. Ora con la sua beatificazione Bergoglio lo ha riabilitato completamente mettendo a tacere le diffamazioni e le calunnie su di lui.

Twitter: @FrancescoGrana

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