Per la seconda volta dal 2013 il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle detenzioni arbitrarie ha dichiarato che la detenzione di Nabeel Rajab, il più noto difensore dei diritti umani del Bahrein, è arbitraria e discriminatoria. La detenzione di Rajab, ha precisato il Gruppo di lavoro, viola gli articoli 2, 3, 7, 9, 10, 11, 18 e 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani e gli articoli 2, 9, 10, 14, 18, 19 e 26 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, quest’ultimo ratificato dal Bahrein nel 2006.

Per questo motivo il Gruppo di lavoro ha chiesto al governo del Bahrein di “rilasciare Rajab immediatamente e, secondo quanto previsto dal diritto internazionale, di riconoscergli il diritto a un risarcimento e a ulteriori forme di riparazione del danno”. Dopo la pubblicazione dell’opinione del Gruppo di lavoro, 127 Ong internazionali e regionali hanno sollecitato il re del Bahrein a scarcerare Rajab.

Rajab, presidente del Centro per i diritti umani del Bahrein, membro fondatore del Centro per i diritti umani del Golfo, vicesegretario generale della Federazione internazionale dei diritti dell’uomo e consulente di Human Rights Watch, è perseguitato dalle autorità locali sin dalla rivolta di San Valentino” del 2011.

L’ultimo arresto risale al 13 giugno 2016 e, come in passato, ha a che fare unicamente col pacifico esercizio del diritto alla libertà d’espressione. Il 15 gennaio di quest’anno la Corte di cassazione ha reso definitiva una condanna a due anni per i contenuti di interviste televisive rilasciate nel 2015 e nel 2016, nelle quali secondo la sentenza Rajab avrebbe “diffuso notizie e voci false sulla situazione interna del Regno, tali da minacciare il prestigio e la reputazione dello stato”.

Il 5 giugno la Corte d’appello di Manama ha confermato la condanna, emessa in primo grado, a cinque anni di carcere per “diffusione di voci false in tempo di guerra”, “offesa a uno stato estero” (l’Arabia Saudita) e “offesa a un organismo dello stato” (il ministro dell’Interno), dopo che Rajab su Twitter aveva denunciato rispettivamente i crimini commessi dalla coalizione a guida saudita nello Yemen e le torture nella prigione bahreinita di Jaw.

Su queste due vicende il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite è stato chiaro: “Punire un organo di stampa, un giornalista o chi pubblica informazioni per il mero fatto di aver criticato il governo o il sistema politico non può essere mai considerata una limitazione necessaria della libertà d’espressione“; “processi come quelli ai danni di Rajab non avrebbero mai dovuto aver luogo né dovrebbero aver luogo in futuro”; “le opinioni politiche di Rajab e le condanne che ne sono derivate hanno dimostrato che l’atteggiamento delle autorità nei suoi confronti non può che essere definito discriminatorio”.

In precedenti comunicazioni dirette al governo del Bahrein, il Gruppo di lavoro aveva menzionato altri casi di difensori dei diritti umani in carcere, tra i quali Abdulhadi al-Khawaja, Abduljalil al-Singace e Naji Fateel.

Articolo Precedente

Libia, truppe ribelli all’assalto di Tripoli: “200 morti”. Via i diplomatici italiani. La Farnesina: “Ambasciata resta aperta”

next
Articolo Successivo

Spagna, a Barcellona il reddito di cittadinanza è ‘digitale’. Ma in Europa non è una novità

next