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Bahrein, lo sciopero della fame a oltranza di Abduljalil al-Singace

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Appello Abduljalil al-Singace Bahrein

Alcune settimane fa abbiamo parlato della rivolta scoppiata il 10 marzo nella prigione di Jaw, delle torture inflitte ai partecipanti e dei procedimenti giudiziari avviati nei loro confronti da parte della magistratura del Bahrein. Per aver denunciato le modalità con cui quella rivolta venne stroncata, il difensore dei diritti umani Nabeel Rajab rischia una lunga condanna.

In segno di protesta per la repressione di Jaw un prigioniero di coscienza condannato all’ergastolo, Abduljalil al-Singace, 52 anni, rifiuta di assumere cibi solidi dal 21 marzo. Approssimando i calcoli, dovrebbe essere arrivato a 170 giorni di sciopero della fame.

Blogger, ex preside della Facoltà di Ingegneria meccanica dell’Università del Bahrein, al-Singace è stato condannato all’ergastolo il 22 giugno 2011 per aver preso parte alle proteste iniziate nella monarchia del Golfo il giorno di San Valentino dello stesso anno. Insieme a lui sono stati condannati altri 12 tra oppositori, attivisti e difensori dei diritti umani, tra cui Abdulhadi al-Khawaja, presidente del Centro per i diritti umani del Bahrein e protagonista di un altro lunghissimo sciopero della fame.

Già in precedenza al-Singace era finito nel mirino delle autorità: nel 2009 per “incitamento all’odio” attraverso il suo blog al-Faseela (poi chiuso) e poi all’inizio del 2011. Graziato due volte, non c’è stata la terza.

Al-Singace è disabile, soffre di sindrome post-polio, otite, vertigini e difficoltà respiratorie. Le autorità non hanno mai autorizzato un intervento chirurgico al naso, necessario dopo le torture subite nel 2011.

Da quando ha iniziato lo sciopero della fame, al-Singace ha perso oltre 20 chili. Si nutre di yogurt, bevande zuccherate, sali minerali e integratori. Si trova nel reparto penitenziario dell’ospedale al-Qalaa, in una stanza singola e priva di finestre. Di rado può incontrare medici e familiari e gli è stato impedito di partecipare a due funerali, di un nipote e della suocera.

Cinquanta Ong, tra cui Non c’è pace senza giustizia, hanno firmato un appello ai governi europei e a quello degli Usa affinché chiedano al re del Bahrein la scarcerazione di al-Singace.

 

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