Nella decisione 6 settembre 1999 della Corte suprema d’Israele, con cui si è proibito l’uso di “pressioni fisiche” volte a procurarsi informazioni ritenute necessarie alla prevenzione di futuri atti terroristici, il presidente dell’organo di giustizia Aharon Barak ebbe ad osservare che “nonostante debba combattere con una mano legata dietro la schiena, la democrazia ha comunque il coltello dalla parte del manico”. Nutrire qualche perplessità sull’ottimismo di Aharon Barak è certamente legittimo, ma non per questo ci si è ancora spinti ad auspicare l’adozione di iniziative tanto drastiche contro il terrorismo internazionale da configurarsi come vere e proprie rotture dei vincoli legali, morali e umanitari che imbrigliano le opzioni securitarie nello Stato di diritto: pur auspicando si faccia di più per ridurre efficacemente la frequenza e la gravità degli attentati, nessuno ha suggerito ancora apertamente di rinunciare al giusto equilibrio tra sicurezza e libertà.

Analogo discorso dovrebbe valere quanto al contrasto alle organizzazioni criminali, siano esse le mafie o i cartelli della droga, che pure impiegano i meccanismi del terrore, tanto più che l’uso della violenza, nel loro caso, è strettamente inteso a intimidire rivali e polizia. Sennonché qualcuno, alle cui strutture mentali paiono alieni i meccanismi dello Stato di diritto e a cui sembra manchi addirittura la sia pur minima consapevolezza che spesso politiche deboli e ambigue tendono la mano slegata ai mafiosi in segno d’incoraggiamento, pretende di mostrare come per difendersi dalle mafie si dovrebbe poter usare tutte e due le mani, le unghie e i denti e anche entrambi i piedi, senza attenersi alle regole del marchese di Queensberry.

Ad animare simili pulsioni è quella che Nietzsche definisce “Volontà di Potenza”, cioè la cieca tendenza a espandersi a detrimento del circostante, nonché necessità di dominare, occupare, sottomettere; e questo neanche, poi, per un supposto “piacere” che ciò conferirebbe, ma per la pura tensione espansionistica in sé; nell’inarrestabile forza della Volontà di Potenza non c’è infatti alcun “istinto di conservazione” né finalità edonistica di sorta, dato che un organismo non fa altro che cercare di essere ed essere di più. Non sembri irriguardoso (sempre parafrasando Nietzsche) sottolineare come chi si fa portatore dell’ideologia dell’amministrazione violenta dalla giustizia, lungi dall’essere annoverabile tra gli “spiriti superiori ed estrosi”, votati piuttosto all’estinzione, sia invece da ricondurre alla species di quegli “spiriti deboli”, i quali riescono sempre a emergere sia perché hanno l’enorme vantaggio della numerosità sia anche grazie a risentite e vendicative tecniche fraudolente.

Aggirandosi nell’universo della cinematografia western capita d’imbattersi in personaggi inguaribilmente violenti che – sebbene apparentemente votati a un’esistenza calma e tranquilla, piena di pace, amore e lavoro – quel che fanno, in realtà, è ridistribuire la propria violenza in un altro modo, come ad esempio lo sceriffo Little Bill Dagget, del film Gli Spietati di Clint Eastwood, calzante metafora di chi nutre l’aspirazione a un’amministrazione della giustizia, dove all’accusatore siano consegnati poteri amplissimi e il percorso delle indagini e del processo sia disseminato il meno possibile di garanzie per l’accusato, così da inchiodare irrimediabilmente i colpevoli, permettendo che si sviluppi nei giusti termini la lotta alla criminalità.

Costui rappresenta e difende la calma vita familiare, anche se paradossalmente attraverso le armi e la violenza più sadica; è impegnato oltre tutto nella costruzione di una casa, simbolo della stabilità e negazione dell’eroismo nomade, dalla cui veranda spera, a quanto dice, di “poter prendere il caffè o fumare la pipa vedendo tramontare il sole”: grandioso esempio d’eterna mediocrità, come direbbe Nietzsche. Il modo in cui amministra la “giustizia”, ignorando qualsiasi valore della persona e somministrandola mediante accordi e considerazioni d’ordine burocratico e materiale, sensibile com’è all’ideologia della “pace e sicurezza”, è a dir poco singolare: in occasione dell’incidente occorso alla prostituta Delilah Fitzgerald, sfregiata da due cow boy, anziché arrestare i responsabili si limita a multarli in natura, obbligandoli solamente a consegnare cinque cavalli al proprietario del bordello come risarcimento.

Assuntosi, peraltro, il compito di disarmare completamente il paese in modo da renderlo un posto tranquillo, dove le famiglie possano “vivere in pace”, mentre fa apporre, all’entrata di Big Whiskey, un’insegna che ordina di lasciare alla porta della città armi e bevande e riprenderle al ritorno, impiega, allo stesso tempo, procedimenti così brutali da indurre il sospetto che egli voglia disarmare tutti per rendere sempre più incontrastato il proprio potere. Si circonda, del resto, di numerosi aiutanti – un po’ tonti, che non sparano bene, anche piuttosto vigliacchi, molto insicuri – che si fanno scudo dell’autorità del padrone e, nel momento di agire, caricano dubbiosi le loro pistole.

L’impressione è che tutto questo spiegamento di uomini rappresenti solo una forza presa a prestito, quella cioè dei deboli, direbbe ancora Nietzsche, i quali messi difronte a un uomo tutto d’un pezzo, nulla potrebbero fare e verrebbero uccisi tutti assai facilmente. Come infatti accade alla fine del film, quando Will Munny – ex pistolero con all’attivo un invidiabile record di omicidi e furti temerari, ma che vive ormai nel ricordo della donna che lo ha redento e lasciato con due figli da mantenere, l’epidemia che attacca i suoi maiali e la miseria, già vecchio e affaticato, con la vista debole, incapace di sparare con la dovuta precisione e rapidità – risorge dalle ceneri e riesce ad eliminare lo sceriffo, uccidendo così l’ipocrita denunciato da Nietzsche, che ha cercato di trasformare la propria “Volontà di Potenza” in una campagna di moralizzazione del selvaggio West, e a liquidarne in pochi secondi la temibile guardia personale, allo stesso modo di chi fa crollare un castello di carte e ne mette in evidenza la latente fragilità.

Ma un altro personaggio s’incontra ne Gli Spietati, la cui figura moralmente ripugnante suona perfetta metafora della collaborazione degli intellettuali alla costituzione del clima di violenza: il signor W.W. Beauchamp, grassoccio scrittore di biografie, codardo e conciliante. Arrivato a Big Whiskey assieme al “duca” Bob, un ammazzasette inglese tutto fumo e niente arrosto, del quale sta appunto redigendo la biografia, una volta che il suo “padrone” ne viene ignominiosamente scacciato, Beauchamp passa repentinamente alla fazione opposta, accettando subito la versione dei fatti così come viene raccontata dal suo nuovo padrone, Little Bill Dagget. E fosse solo questo! Mentre lo sceriffo “interroga” Ned Logan, usando la frusta, le sue sobrie e scientifiche annotazioni gli saranno utilissime per scoprire le contraddizioni nella confessione del prigioniero: l’intellettuale è integrato nella macchina della tortura, a sua volta integrata nell’ordine esistente.

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