Una ricostruzione riscontrata dai giudici. “Il punto di svolta del declino mafioso si è verificato, a parere della Corte, nel gennaio 1994 col fallimento del progettato attentato allo Stadio Olimpico di Roma e con l’arresto di Giuseppe Graviano (insieme a quello del fratello Filippo), che più si era impegnato per tale ulteriore strage, avendo la capacità economica e, soprattutto, l’intelligenza (criminale) organizzativa e direttiva, che, invece, per fortuna di questo Paese, sarebbe, poi, mancata ai residui propugnatori della strategia stragista Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca (stante il ruolo più defilato volontariamente assunto da Bernardo Provenzano, il quale, per portare avanti i suoi affari aveva necessità di una sorta di patto di non belligeranza con lo Stato)”, scrive Montalto. “La storia non si fa con i se, ma le risultanze di questo processo – e della ricostruzione storica sottesa – inducono fondatamente a ritenere, tuttavia, che quella ulteriore strage, con la possibile uccisione di oltre cento carabinieri, se fosse riuscita, avrebbe messo definitivamente in ginocchio lo Stato, costringendolo a capitolare a fronte delle sempre più pressanti minacce provenienti dall’organizzazione mafiosa siciliana che avevano, ormai, trasceso i stretti confini regionali, coinvolgendo altre realtà criminali (camorra, ‘ndrangheta e mafia pugliese) e altri territori di particolare importanza anche per la rilevanza internazionale (come nel caso delle città di Roma, Firenze e Milano)”. E invece no. Perché l’attentato all’Olimpico è fallito e non verrà più ordinato: Graviano viene arrestato tre giorni dopo. Ventiquattro ore prima Berlusconi aveva ufficializzato la sua discesa in campo con Forza Italia. La Lancia Thema color bordeaux non servirà più. Lo Stato non è stato messo in ginocchio. Non con la strage di carabinieri, almeno.

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