Per lo Stato italiano non c’è un responsabile dell’omicidio di Gianluca Congiusta, il giovane imprenditore di Siderno ucciso il 25 maggio 2005 per essersi intromesso nel tentativo di estorsione ai danni del suocero. Per la seconda volta la Cassazione ha annullato la condanna all’ergastolo rimediata in secondo grado dal boss Tommaso Costa, il principale imputato del processo nato dall’inchiesta “Lettera morta” del 2007 coordinata dal sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Antonio De Bernardo, oggi in servizio a Catanzaro.

Dopo un primo annullamento con rinvio e una nuova condanna all’ergastolo, Costa è stato definitivamente assolto dalla Suprema Corte “per non aver commesso il fatto”. Gli atti sono stati quindi rimandati alla Corte d’Appello di Reggio Calabria che dovrà solo rideterminare la pena per gli altri reati escludendo l’accusa di omicidio maturato attorno a quella che gli investigatori hanno definito una “lettera morta”.

Stando all’indagine sull’omicidio di Gianluca Congiusta, infatti, il responsabile sarebbe stato Tommaso Costa impegnato, secondo la Dda, a ricostruire quella cosca sterminata dalla famiglia rivale, i Commisso, nella guerra di mafia negli anni ’90. Maturata in questo contesto, la vicenda avrebbe avuto inizio nel dicembre del 2003 quando i genitori della ragazza di Congiusta ricevettero una lettera anonima, che sarebbe stata scritta dal boss che avanzava richieste estorsive e minacce di morte.

Consegnata la busta a Gianluca, stando sempre alla ricostruzione degli investigatori, quella lettera sarebbe arrivata proprio nelle mani dei Commisso. Una situazione che, quindi, poteva degenerare per il boss Tommaso Costa il quale, secondo l’impianto accusatorio, a quel punto avrebbe deciso di uccidere l’imprenditore di Siderno per non far scoprire alla cosca “madre” il suo tentativo di scissione.

Intercettazioni, testimoni di giustizia, collaboratori. Niente ha convinto la Corte di Cassazione sulla colpevolezza del boss della Locride. Neanche le lettere intercettate in carcere e che, secondo la Procura, avrebbero consentito a Tommaso Costa di continuare a comandare la cosca mentre era detenuto. Missive che, in un’aula di tribunale, non possono rappresentare una prova a causa di un vuoto legislativo da anni denunciato da Mario Congiusta, il padre di Gianluca, che nel 2014 per protesta ha restituito la tessera elettorale al ministero della Giustizia Andrea Orlando dopo aver scritto anche all’ex premier Matteo Renzi senza ricevere risposta.

“Gianluca – disse all’epoca il padre – è stato ucciso da un indultato per cui è vittima della mafia e dello Stato”. Da anni Mario Congiusta chiede giustizia per un figlio ammazzato dalla ‘ndrangheta. Da quel 25 maggio in cui Gianluca è stato ucciso con un colpo di lupara sono passati 13 anni. Undici di questi, Mario li ha trascorsi in Tribunale per chiedere giustizia. Al suo fianco c’è stata sempre la figlia Roberta che, appresa la sentenza della Cassazione sull’omicidio del fratello, su Facebook ha scritto: “Oggi il dubbio che essere onesti sia inutile diventa certezza. Oggi Luca lo hanno ucciso per la seconda volta, oggi niente ha più senso…oggi siamo morti tutti!”. Una frase che fa il paio con una domanda che, nel 2014, si fece Mario Congiusta: “Mi chiedo – disse ai microfoni de ilfattoquotidiano.it – quanto tempo devo aspettare per avere giustizia o se devo prima morire e averla dopo morto?”.

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