Via libera alle trivelle in un’area di 30mila chilometri quadrati, nel mare Adriatico. Il Consiglio di Stato ha rimosso l’ultimo ostacolo alle attività della compagnia inglese Spectrum Geo. I giudici amministrativi, infatti, hanno rigettato i ricorsi presentati in appello dall’Abruzzo, dalla Puglia e dagli Enti locali contro il decreto Via (Valutazione di impatto ambientale) relativo a due permessi di ricerca di gas e petrolio rilasciati alla società inglese. L’attività è quella di prospezione descritta da due istanze presentate il 26 gennaio 2011 per altrettante aree dell’Adriatico, la d1 BP SP (per 13.700 chilometri quadrati, da Rimini a Termoli) e la d1 FP SP (per 16.210 chilometri quadrati, da Rodi Garganico a Santa Cesarea Terme). La vicenda non è comunque conclusa: ora il ministero dello Sviluppo Economico dovrà adottare i due permessi di ricerca. Amaro il commento del Coordinamento No triv: “Rimaste ai margini della campagna elettorale, le trivelle irrompono di prepotenza sulla scena del conflitto tra chi è a favore e chi è contro l’attuale modello energetico. Complice la ‘politica’ che fino ad oggi ha lasciato fare il bello ed il cattivo tempo alle compagnie Oil&Gas”.

I DUE PERMESSI E L’AREA INTERESSATA – Si tratta di certo di un’altra sconfitta per gli Enti territoriali dopo che, nel luglio 2016, il Tar del Lazio aveva dato il via libera alla Spectrum Geo e bocciato i ricorsi presentati dalla Provincia di Teramo, da sette Comuni della costa teramana e da altri due Comuni marchigiani contro il decreto di Via. Cinque le regioni interessate dalle attività di prospezione: Emilia Romagna, Marche, Abruzzo, Molise e Puglia. E da quest’ultima era parallelamente partito un altro ricorso. Gli enti locali contestavano la procedura seguita dai ministeri competenti: dal limite dell’area interessata, fino alla mancata Valutazione ambientale strategica e all’altrettanto mancato coinvolgimento degli enti locali. L’area complessiva originariamente era ancora più vasta ma, alla luce del limite delle 12 miglia introdotto a pochi mesi dal referendum con la legge di Stabilità per il 2016, il ministero dello Sviluppo Economico ha dovuto riperimetrarla. La legge 625 del 1996 prevede, poi, che la zona del permesso di ricerca non possa superare l’estensione di 750 chilometri quadrati, mentre il permesso riguarda un’area di ben 30mila chilometri quadrati. Il Tar aveva però dichiarato la Via legittima, sottolineando che nello specifico si trattava di attività di prospezione e non di ricerca “connotata da ricadute sul territorio chiaramente più gravose ed invasive”. Insomma, quel limite vale solo per la ricerca e non per la prospezione, attività per la quale verrà però utilizzata la tecnica invasiva dell’air-gun, che consiste in scariche violente di aria compressa verso i fondali e da anni ormai al centro di un acceso dibattito.

LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO – Sulla stessa linea del Tar anche la decisione presa dal Consiglio di Stato, secondo cui “i confini dell’area oggetto dell’attività di prospezione sono allineati con la fascia di rispetto indicata dall’articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 152/2006, il testo unico dell’Ambiente”. E se le Regioni hanno da sempre lamentato il mancato coinvolgimento degli enti interessati nel procedimento di Via, il Consiglio di Stato non è dello stesso avviso. Intanto, secondo i giudici l’istruttoria svolta dai Ministeri è “nel complesso completa, articolata e rispettosa dell’iter normativo nella sua interezza”. Dall’analisi degli atti impugnati è emerso “che la Commissione tecnica abbia sempre motivato in maniera sufficiente ed idonea in relazione alle criticità rappresentate nelle osservazioni rese dai soggetti interessati”. Per quanto riguarda, nel dettaglio, il coinvolgimento degli Enti, i giudici ricordano una comunicazione a loro inviata da parte della società Spectrum il 16 ottobre 2011. “Gli enti locali destinatari – scrivono – sono stati effettivamente posti nella condizione di partecipare attivamente, ove l’avessero voluto, al procedimento diretto a conseguire il giudizio sulla compatibilità ambientale, fornendo il proprio contributo”.

LE REAZIONI – “La battaglia contro le trivelle non si vince unicamente impegnandosi fino allo sfinimento nelle aule dei tribunali, armati di codici e studiando ogni utile strategia giudiziaria. Occorre un cambio di passo di cui la classe dirigente di questo Paese non si è mostrata finora minimamente capace”. Questo il commento del costituzionalista Enzo Di Salvatore, padre del Referendum No Triv e di numerosi ricorsi contro lo Sblocca Italia. “Il nodo è sempre stato e resta quello politico”, rilancia Enrico Gagliano, cofondatore del Coordinamento Nazionale No Triv.  Che aggiunge: “Chiediamo una totale inversione di rotta nelle scelte di politica energetica nazionale e nell’Unione, che favorisca la decarbonizzazione e la riconversione ecologica dell’intero sistema economico”.

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