Cultura

Tangenti, così i politici si autoassolvono: uno su quattro in sella dopo la condanna

PAGINE NERE - Diventa un libro la ricerca "Politica e corruzione" della Fondazione Res, curata da Rocco Sciarrone, basata sull'analisi di centinaia di sentenze di cassazione e richieste di autorizzazione a procedere, incrociate con le carriere dei personaggi coinvolti. Dopo Tangentopoli la quota ha toccato il 40%. Il "campione"? Vito Bonsignore, tessitore in vista del voto del 4 marzo nonostante un verdetto definitivo di colpevolezza

di Mario Portanova

Loro si credono assolti, come cantava Fabrizio De André. E così continuano a fare carriera politica anche dopo essere stati coinvolti (per sempre, direbbe ancora De André) in processi per corruzione e vicende di malaffare. Persino dopo la mitica condanna in Cassazione, buona per evocare la presunzione di innocenza in quel po’ di annetti che passano dalle indagini alla fine dei tre gradi di giudizio, poi appallottolata con noncuranza nel cestino quando certifica la colpevolezza dell’amico di partito o dell’alleato di governo. Lo dicono i numeri. Nel periodo post-Tangentopoli, il 39,4% dei politici coinvolti in vicende di corruzione ha avuto incarichi anche dopo la sentenza definitiva della Cassazione, mentre la quota di politici che hanno iniziato la carriera nella fase successiva alle inchieste degli anni Novanta e l’hanno continuata anche dopo il coinvolgimento in casi di corruzione è pari al 24,6%.

È una miniera di dati come questi il libro Politica e corruzione. Partiti e reti d’affari da Tangentopoli a oggi, a cura di Rocco Sciarrone, sociologo dell’Università di Torino, pubblicato da Fondazione Res con Donzelli. “La rimozione della gravità del fenomeno della corruzione appare legata a un processo di autoassoluzione del ceto politico nel suo complesso, spiegano i ricercatori. “I nuovi partiti creati nella seconda repubblica”, continuano, “hanno attinto a piene mani da personale politico di quelli che li avevano preceduti”. Così lo sbandierato “rinnovamento” si volatilizza nelle chiacchiere dei talk show: “Il coinvolgimento in vicende di corruzione non sembra costituire un fattore che influenza il ricambio della classe politica”. Anzi, il contrario, sottolinea Sciarrone nell’introduzione: “La corruzione sembra incidere sui meccanismi di selezione del personale politico, favorendo quello più disponibile a instaurare scambi illeciti e rapporti collusivi con reti criminali”.

Queste considerazioni poggiano sull’analisi a tappeto, per parole chiave, di tutte le sentenze di cassazione dal 2006 al 2015, di una selezione delle più importanti dal 1995 al 2005 (sono esclusi i casi di prescrizione, che a studiarli se ne vedrebbero delle belle), nonché delle autorizzazioni a procedere concesse dalle Camere dal 1994 a oggi. Ne è uscito un campione di 580 sentenze e di 104 richieste incentrate su casi di corruzione, per un totale di 613 politici coinvolti nelle sentenze della cassazione e di 64 parlamentari interessati dalle autorizzazioni a procedere. Il libro sviluppa uno studio presentato a dicembre del 2016, che metteva in evidenza il nuovo volto del sistema delle tangenti in Italia dopo Mani pulite: più frammentato, più locale, più votato all’arricchimento personale e meno al finanziamento della politica. Dominio delle cricche politico-imprenditoriali piuttosto che dei partiti. A proposito, se ve la volete giocare sui social in questi tempi di campagna elettorale, su 541 corrotti individuati il 32,3% appartiene al centrodestra, il 17% al centrosinistra, il 4% al centro e il 39,2 a partiti della prima repubblica.

Rispetto alla ricerca, il libro si arricchisce di nuovi dati, e soprattutto, di una ricca galleria di storie, dalle tangenti bipartisan di Torre Annunziata (Napoli), distribuite “ai vari partiti presenti in consiglio comunale”, a quello più recente di Catanzaro, dove i posti da tirocinante del fondo Garanzia giovani erano spartiti a tavolini dai potenti locali, fino a vicende nazionali come Mafia capitale e Mose. Come campione delle carriere impermeabili agli scandali, i ricercatori hanno scelto Vito Bonsignore, siciliano trapiantato a Torino, protagonista di una lunga parabola che lo ha portato dalla Dc al Cdu all’Udc al Pdl, con due legislature al Parlamento di Strasburgo (nel 2004 con i casiniani e nel 2009 con i berlusconiani) nonché alla vicepresidenza del Partito popolare europeo. Uscito indenne da Mani pulite (il manager di Iri-Italstat Alberto Zamorani raccontò ai pm di avergli elargito mazzette per centinaia di milioni di lire, una volta pressate “in una scatola di cioccolatini”, ma in assenza di altri riscontri la cosa non ebbe sviluppi giudiziari), fu poi condannato in via definitiva a due anni per tentata corruzione, abuso e turbativa d’asta in relazione all’appalto per il nuovo ospedale di Asti.

A confermare le tesi scientifiche del gruppo di ricerca, le cronache piemontesi danno l’intramontabile Bonsignore alacremente impegnato nella costruzione del polo centrista, “quarta gamba” dell’alleanza Berlusconi-Salvini -Meloni, in vista delle elezioni politiche del 4 marzo.

LA FRASE: “Nel post-tangentopoli (…) la politica perde di rilevanza, non viene però meno, risulta piuttosto uno strumento al servizio di comitati d’affari e di reti criminali, di cui gli stessi politici sono compartecipi”

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