E alla fine le firme false dei grillini finirono a processo. Lo ha deciso il gup di Palermo, Nicola Aiello, ordinando il rinvio a giudizio di tutti i quattordici indagati: tre deputati nazionali, due consiglieri regionali e otto tra attivisti ed ex attivisti del Movimento 5 Stelle più un cancelliere del tribunale. Sono tutti coinvolti nell’inchiesta sulle firme ricopiate depositate nel 2012 per presentare la lista del Movimento 5 Stelle alle elezioni amministrative del capoluogo siciliano.  Il processo comincerà il 3 ottobre davanti al giudice monocratico. Gli imputati rispondono, a vario titolo, di falso e della violazione della legge regionale che ha recepito il testo unico in materia elettorale.

A giudizio, come ha chiesto il pm Claudia Ferrari, ci sono cinque politici: i deputati Riccardo Nuti, Giulia Di Vita e Claudia Mannino, che sono stati sospesi de imperio dal comitato dei probiviri del Movimento, dopo che essersi avvalsi della facoltà di non rispondere nel primo interrogatorio, rifiutando anche di lasciare agli inquirenti un campione della propria calligrafia. In seguito hanno definito l‘inchiesta “una montatura”, sono entrati in polemica pubblica con Beppe Grillo e hanno lasciato volontariamente il gruppo parlamentare pentastellato.
A processo anche i consiglieri regionali Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio, rei confessi e autosospesi dal Movimento già dalle prime  battute dell’indagine, più gli attivisti Samanta Busalacchi, Pietro Salvino, Riccardo Ricciardi, Giuseppe Ippolito, Stefano Paradiso, Toni Ferrara e Alice Pantaleone. Rinvio a giudizio anche per un ex militante, l’avvocato Francesco Menallo, e per il cancelliere Giovanni Scarpello.

Per l’accusa i grillini decisero di ricopiare le sottoscrizioni originali già raccolte in alcuni moduli che contenevano un errore formale: le generalità sbagliate di uno dei candidati al consiglio comunale. Il timore era di non riuscire più a raccogliere le firme necessarie per la presentazione delle candidature. Tutto sarebbe avvenuto su input di Riccardo Nuti, che all’epoca era candidato sindaco. A sostegno della tesi del pm, oltre alla confessione di Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio e alle ammissioni di alcuni attivisti, ci sono la consulenza grafologica richiesta dalla Procura e le testimonianza di decine di firmatari che hanno disconosciuto le loro sottoscrizioni. Importanti per l’inchiesta anche le testimonianze dell’attivista Vincenzo Pintagro, che per primo aveva raccontato la storia ai microfoni delle Iene. A chiudere il cerchio è stata la perizia grafica ordinata dalla procura e gli accertamenti della Digos che hanno confermato la copiatura di centinaia di firme.

Subito dopo la notizia del rinvio a giudizio proprio Ciaccio ha annunciato le dimissioni. “Stop. Il mio cammino all’interno delle istituzioni finisce qui. Continuerò a sposare, come prima e più di prima, la causa del Movimento 5 Stelle e della Sicilia, ma fuori dal Parlamento. Nei prossimi giorni formalizzerò le mie dimissioni dall’Assemblea regionale siciliana”, ha scritto su facebook l’ormai ex consigliere regionale. “Un rappresentante della massima Istituzione regionale, diceva Paolo Borsellino, non deve soltanto essere onesto, ma deve anche apparire tale – aggiunge Ciaccio –  Cosa che il mio rinvio a giudizio rischia di compromettere, proiettando ombre sul mio operato futuro e rischiando di danneggiare il progetto politico del Movimento 5 Stelle, che ho rappresentato con onore all’interno dell’Assemblea Regionale Siciliana”.”Ormai siamo alla fine legislatura e possiamo dire che con questa finisce tutto” aggiunge incece La Rocca che conferma la sua decisione di non voler ricandidarsi alle regionali del prossimo 5 novembre.

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