Il Sud in questo momento storico è un laboratorio in cui si stanno codificando o sperimentando nuove forme di partecipazione popolare in tematiche critiche, come l’ambiente e l’energia. Basta leggere i giornali per accorgersi del coinvolgimento sempre maggiore delle popolazioni in attività di proposta e protesta. Da qualche anno, anche su questo blog, ne seguo diverse, con discreta continuità. Non tutte le vicende assurgono (forse) alla dovuta visibilità su scala nazionale, ma credo sia doveroso provare a render conto del fermento in atto, con preciso riferimento a tre temi caldi.
Gasdotto Tap. Il cosiddetto storytelling (o narrazione) della questione del “tubo” che dovrebbe portare il gas a zero, approdando sulla meravigliosa costa di Melendugno (zona san Basilio), presenta delle caratteristiche degne di accurata riflessione. I media nazionali basano il racconto prevalentemente su due aspetti: i politici che hanno vincolato l’Italia con accordi internazionali a realizzare il Trans-Adriatic Pipeline minimizzano rischi e impatti dell’opera; la gente del Salento che protesta (incluso un centinaio di Sindaci, tecnici ed esperti), invece, sarebbe affetta da sindrome “Nimby” e sarebbe preoccupata “solo” di preservare gli ulivi espiantati dalla multinazionale svizzera per far spazio al cantiere e al tracciato del gasdotto (55 km nelle campagne salentine, fino a Mesagne e 12 ettari di centrale Prt).
Ma, come mi scriveva giustamente Carmela De Marco, salentina, ingegnere e ricercatrice in Svizzera: “La maggior parte di coloro che ci accusano di essere resistenti ai cambiamenti e alla tecnologia, bollandoci come provinciali che vogliono solo accudire il proprio giardino, ignorano un quadro più complesso”. Ho provato a vederci chiaro, andando a intervistare alcuni sindaci salentini impegnati in una strenua protesta. I motivi della protesta dei cittadini salentini, ormai pluriennale, sono ben altri.
Il Sindaco di Melendugno sostiene infatti che: “Viene danneggiata l’immagine di San Foca, e del Salento, che è altro rispetto a questo genere di intervento infrastrutturale”. “Lottiamo perché non ci sia uno spillo in più di inquinamento su questa terra già martoriata”.
Dello stesso segno la protesta personale dello stimato oncologo Giuseppe Serravezza, sfociata in un lungo sciopero della fame e della sete, interrotto solo ieri in vista della manifestazione dei sindaci No Tap che si terrà l’11 maggio a Roma. Egli mi ha spiegato in un’intervista per Basilicata24, che: “Noi abbiamo detto che quel tipo di impianto nel nostro contesto non è assolutamente sostenibile. Non servono dati, basterebbe il buon senso. Chiunque ragioni in modo libero, non necessariamente un tecnico del ramo, crediamo possa pervenire alle medesime conclusioni. A tutti abbiamo chiesto uno scatto di giudizio libero e indipendente, non condizionato. E abbiam poi chiesto di rispettare questo territorio, che non può permettersi, come Arpa Puglia a più riprese ha sostenuto, ulteriori pressioni di carattere ambientale, vista la sua vulnerabilità. Basterebbe questo, per dire no a Tap”.
D’altro canto, gli esperti che studiano le carte del progetto da anni, aggiungono molto altro: ho intervistato l’ing. Alessandro Manuelli, ingegnere chimico e ascoltato le ragioni del Comitato No Tap, dalla voce di uno dei leader storici: Gianluca Maggiore (questo il testo completo, per farsi un’idea più completa della questione).
Open data a Taranto. L’associazione Peacelink, presieduta dal professor Alessandro Marescotti, si sta facendo carico di un’ulteriore battaglia: quella della nuda verità dei dati. I cittadini di Taranto hanno o no diritto a conoscere i dati sulla mortalità? Marescotti si è fatto promotore di un’iniziativa importante: “Durante un’audizione nella Commissione Ambiente del Consiglio Comunale abbiamo chiesto di acquisire i dati di mortalità in città dal 2000 a oggi, disaggregati mese per mese, ce li siamo portati a casa, li abbiamo copiati su un foglio elettronico di Google e ora tutti li possono vedere online collegandosi con www.tarantosociale.org poiché che sono posti in condivisione con tutti e da lì verranno aggiornati. È il cloud civico, è la strategia della riappropriazione dei dati da parte dei cittadini”.
Lo strumento degli open data, permetterà un diverso livello di consapevolezza dei cittadini. Open data significa poter controllare l’operato delle amministrazioni e, nei casi come Taranto, toccare con mano, oltre i luoghi comuni, l’entità delle problematiche ambientali, la significatività dei detrattori ambientali che insistono su un territorio.
Estrazioni petrolifere in Basilicata. Vi è poi la vicenda (ormai giudiziaria) delle estrazioni petrolifere in Basilicata. Anche in quel caso, associazioni e comitati di cittadini, supportati da accademici, hanno dato vita a proteste e persino analisi di provini di acqua anche dell’invaso del Pertusillo. È il caso dell’associazione Cova Contro, presieduta dal giornalista Giorgio Santoriello, della professoressa Albina Colella, del tenente Giuseppe Di Bello. Emerge un’esigenza sempre più diffusa di trasparenza e margini concreti e più ampi di partecipazione. Questo Sud sta cambiando.